A fronte dei muri e degli eserciti che l’Europa costruisce e schiera per respingere i migranti in fuga da guerre, violenze, fame e povertà, l’altra guerra, quella economica che l’ha attraversata e deformata, sembra quasi eclissata. E lontana dai riflettori è tornata la piccola Grecia che della oppressiva campagna finanziaria è stata, e ancora resta, la cavia da laboratorio delle politiche liberiste. Ma nella terra del Partenone la resistenza invece continua. E per la terza volta in pochi mesi, dopo le elezioni di gennaio e il referendum di luglio, oggi le urne si riapriranno affinché di nuovo i cittadini possano esprimere la loro volontà politica. Per dire chi li dovrà governare e chi potrà meglio difendere gli interessi di milioni di persone.

Alexis Tsipras si rivolge ai greci chiedendogli la fiducia e la forza elettorale necessarie per guidare il paese. Però né il leader che chiama il popolo a sostenerlo, né il popolo che deve decidere se tornare a votarlo, sono gli stessi di qualche mese fa. Sulle spalle del giovane politico grava soprattutto il macigno del memorandum imposto dall’Europa. Per sostenerne il peso senza essere schiacciato, Tsipras ha bisogno di una forza notevole, in grado di accompagnarlo nella difficile, solitaria sfida per applicare le richieste europee. E nello stesso tempo deve trovare il modo di proteggere le classi sociali più colpite. Un’impresa dunque. Resa, se possibile, ancora più ardua dall’escalation del tragico esodo dei migranti che ogni giorno approdano sulle isole greche. Non è lo stesso popolo che ha lottato per allontanare il giogo delle misure economiche che hanno ferito i bisogni primari del lavoro, della salute, delle speranze delle giovani generazioni.

Quanto sia più complicato riportare al voto – e alla fiducia nella democrazia – i greci che il 25 gennaio avevano tributato a Syriza oltre il 35 per cento del consenso, meglio di tutti lo sanno Tsipras e il gruppo dirigente che lo sostiene. È lo spettro di una rassegnata astensione il nemico da battere. Queste elezioni rappresentano lo snodo cruciale per il futuro di un popolo e, insieme, sono il banco di prova dell’agibilità politica di un governo di sinistra nelle condizioni peggiori. Eppure, proprio per questo, si tratta – come abbiamo capito e imparato dai lunghi mesi di lotta di Syriza contro l’austerità europea – di un cimento che oltrepassa i confini ateniesi. Nel mare aperto, senza rotte tracciate da precedenti navigatori, che Tsipras ha scelto di attraversare, navigano tutte le sinistre europee, comprese quelle che in Italia vorrebbero vedere la nascita di una forza certamente radicale e al tempo stesso di governo.

Ogni giorno sperimentiamo la difficoltà di un progetto così ambizioso e inedito, perché nelle fasi di crisi economica, è molto più facile assegnarsi il ruolo di opposizione contro le politiche liberiste dei governi. E non pochi considerano una follia assumere il compito di governare quando la crisi, anzi, quando il crollo di un intero sistema economico e sociale, cancella i diritti e gli assetti democratici novecenteschi.

Per Tsipras sarebbe più semplice, di fronte al prezzo politico e personale da pagare, lasciare la Grecia nelle mani dei politici che dal 2009 ne hanno sgovernato l’economia. Sarebbe anche stimolante tornare nella terra conosciuta delle piazze, magari per chiedere il ritorno alla dracma come adesso reclamano gli esponenti di Unità popolare, fuoriusciti da Syriza.

Per il leader il bilancio è durissimo. Quel memorandum che occupa Atene come un panzer ha spaccato il «partito» e ha indebolito il governo. E allora perché sfidare la sorte in elezioni molto incerte? «Perché chi sta lottando, anche se viene ferito, non smette di lottare». Sono le parole dette al manifesto da Nikos Kotziàs, l’ex ministro degli esteri del governo Tsipras, e racchiudono in un’immagine vera tutto il significato del voto.

La sofferenza del popolo greco non troverebbe giovamento con il centrodestra, perché solo un governo di sinistra può tentare di alleviare le misure dell’austerità. Ma questo risultato elettorale va ben oltre, perché se c’è un modo per portare l’Europa a discutere del debito dei paesi del lato sud del Continente serve una vittoria alle urne.

La sfida greca ha un’importanza che è stata colta solo negli ultimissimi giorni dagli italiani che vorrebbero un cambiamento anche qui. L’appello firmato l’altro ieri da alcuni protagonisti della sinistra è piccola cosa rispetto alle prospettive aperte da Tsipras. Perché dopo è venuta la Spagna con Podemos; perché un politico «socialista» ha vinto le primarie nel Labour Party; perché adesso in Italia finalmente si discute su come costruire una forza in grado di porsi come alternativa.

Dunque nel voto greco non è in gioco solo il destino di un leader e di un paese intero: c’è anche il futuro delle sinistre in Europa.