Finalmente si parla della Grecia. Dopo anni in cui parlare delle sofferenze del popolo greco, dell’austerità, delle dinamiche del debito era cercare di sfondare un muro di indifferenza, le scadenze del debito e la rapida campagna del referendum che ha visto un’ampia vittoria del No hanno portato il dibattito dappertutto.

Incredibilmente l’Italia si risveglia con un numero incommensurabile di «esperti» di economia greca: chiunque si sente in grado di dissertare sulla politica di Tsipras, dell’esito del negoziato, delle pensioni eccessive, e simili. Nei bar, in strada, sui posti di lavoro. Su internet i siti di informazione più gettonati presentano i loro bravi dossier «la crisi greca spiegata bene».

E non bisogna troppo stupirsene perché siamo di fronte alla possibile dissoluzione dell’unione monetaria. «Non ho dubbi: questo è il momento più critico della storia dell’Unione Europea». A D. Tusk (presidente del Consiglio europeo) riportato dal Telegraph piace drammatizzare.

Ma la stampa finanziaria internazionale sembra presa da altro. «Azioni cinesi: la crisi finanziaria che ha cancellato tre trilioni dai mercati finanziari» (The Indipendent), «Il crollo del mercato cinese è una doppia minaccia» (New York Times), «La crisi finanziaria davvero preoccupante sta avvenendo in Cina, non in Grecia» (Telegraph). L’invincibile tigre asiatica, capace di regalare all’economia globale tassi di crescita a doppia cifra, a quanto pare sta vivendo il suo 1929.

L’evoluzione della situazione in Cina suscita comprensibili nervosismi. Si tratta di un’economia ancora molto controllata dalle autorità, ma anche fortemente integrata nel sistema finanziario internazionale e a livello economico. I contraccolpi possono essere poderosi.

Forse qualcuno potrebbe ricordarsi che il sistema finanziario in sé non è molto stabile. Nella sua Relazione Annuale la Banca dei Regolamenti Internazionali (organizzazione internazionale di Basilea, espressione delle banche centrali più potenti al mondo) dedica un intero capitolo alla questione. Si sostiene che “Un importante difetto del sistema attuale è che tende ad aumentare il rischio di squilibri finanziari», «l’integrazione dei mercati finanziari a livello internazionale tende a rafforzare queste dinamiche». Segue un accorato appello alla cooperazione internazionale.

Per capire di che natura siano i rimedi necessari può essere d’aiuto un’altra notizia comparsa in questi giorni: «Il sistema finanziario Usa è solido ma le riforme devono continuare, sostiene il Fmi». (Los Angeles Times).

Tali riforme – la cui perorazione proviene dal Fondo, uno dei bastioni più temibili dell’ortodossia monetaria mondiale – non sono altro che l’attuazione della legge Dodd-Frank, la stangata di Obama sulla finanza.

Criticata da molto che volevano di più ma che ha saputo raccogliere l’elogio di Luciano Gallino: «Bisogna riconoscere che dopo un trentennio di degolamentazione del sistema finanziario, si tratta del primo provvedimento su larga scala che la politica e lo stato abbiano adottato al fine di sottoporre tale sistema a regole capaci di limitarne lo strapotere e stabilirne le molteplici responsabilità».

Nel sostanzioso «Financial System Stability Assessment» di ben 111 pagine una delle istituzioni monetarie più conservatrici raccomanda l’attuazione di quello che i repubblicani hanno cercato di bloccare in ogni modo.

Regole capaci di limitare lo strapotere finanziario. In assenza delle quali il sistema continuerà a generare crisi e bolle ieri in Europa, oggi in Cina, e chissà dove domani.