«Chi vuole riuscire ad aggredire il potere deve guardare negli occhi senza timore il comando e trovare i mezzi per sottrargli la sua spina», con questa esortazione Elias Canetti termina Massa e potere.

È UNO DEGLI OBIETTIVI del percorso di ricerca di Andrea Staid che, nell’ambito dell’antropologia politico-culturale, si snoda in due articolazioni: su identità culturale, ibridazione e processi migratori; l’altra su relazioni di potere-dominio-autorità e studio di culture altre che vivono in società senza stato e con relazioni di potere orizzontali. Di questa seconda articolazione ci parla Contro la gerarchia e il dominio. Potere, economia e debito nelle società senza Stato (Meltemi, pp 92, euro 8), un agile libello che analizza la gestione del potere, il concetto di debito nelle «società primitive» e propone una diversa prospettiva della concezione del lavoro.

«Studiare, capire la gestione del potere nelle società senza Stato può essere una possibilità per comprendere meglio la crisi dello spazio politico contemporaneo e uno spunto per combattere il dominio e lo sfruttamento sempre più presenti nella nostra società», scrive Staid e sta qui il principale contributo di questo saggio, utile per gli attivisti che vogliono ripensare un’alternativa al capitalismo, senza riprodurre forme di dominio. Dopo aver ricordato Potere, autorità e dominio, breve ma importante saggio di Amedeo Bertolo, che sottolineava la polisemia di questi termini e proponeva dei chiarimenti operativi, Staid – appoggiandosi alle sue ricerche antropologiche e a quelle di Pierre Clastres, David Graeber e Harold Barclay – sostiene che esistono modi non autoritari di gestire il potere.

La definizione del potere determina anche le pratiche di conflitto e di lotta per il raggiungimento di obiettivi parziali e di una società diversa, e sembra che Staid si avvicini alle posizioni dei vari neo-anarchismi che si caratterizzano per un’impostazione pedagogica e un non interesse per la ricerca della rottura rivoluzionaria. Rottura intesa come rivolta, evento e incognita che crea ciò che non è possibile prevedere solo con l’analisi, ma che ha bisogno dell’azione per disvelarsi.

LA DEFINIZIONE di potere di Staid, e il suo proposito di «creare delle norme per evitare la nascita e la riproduzione dei rapporti di potere coercitivo, ovvero per decostruire il dominio», si avvicina – forse solo in apparenza paradossalmente per un libertario – a quella di Antonio Negri di un «potere costituente» in divenire contro la fissazione del potere costituito nell’autorità centrale dello Stato.
Staid non cita la concezione di Foucault di «microfisica del potere», ma sono evidenti le affinità quando sostiene che «il potere si definisce in termini relazionali, non esistono esseri umani senza relazioni quindi è impossibile eliminare il potere».
E ci sono anche altri punti di contatto con proposte quali: l’«archeologia del potere» di Agamben, in cui si propone l’inoperosità contro l’azione umana (anche quella del militante) modellata sulla figura del sacerdote, all’interno del quale ciò che l’uomo è si risolve in ciò che l’uomo deve fare, creando così una «liturgia» del potere; e il «potere destituente» definito dal gruppo «La rosa di nessuno», che propone una diserzione politica dalla politica «ricorrendo a una figura concettuale: Antigone e al suo rifiuto di applicare la legge sovrana, la politica che ci impone come vivere, la sua violenza della non violenza, destituente e forte, che scatena una metamorfosi politica della polis, in grado di fare cadere il sovrano. La diserzione dall’ordine del potere sprigiona una carica politica imprevedibile che fa del gesto della figlia di Edipo un movimento che allude a una forma di potere senza fondamento» (Potere destituente, Mimesis).

IL LIBRO DI STAID ci segnala anche che la ridefinizione di questi concetti passa attraverso una messa alla prova e la messa in atto dei conflitti e delle esperienze di autogestione, ecco allora che momenti e movimenti legati alle lotte della Valsusa, alle comunità zapatiste in Chiapas, alla regione autonoma del Rojava, diventano vitali per rileggere e vivificare le indicazioni offerteci dalle «culture primitive» sottoproduttive e contro lo Stato-nazione ripensando l’organizzazione della società.