Estradizione in Spagna per Carles Puigdemont. È la richiesta ufficiale formulata ieri mattina dal tribunale dello Schleswig-Holstein ai tre giudici dell’Alta corte del Land cui spetta il verdetto finale sull’ex presidente catalano detenuto in carcere dal 25 marzo.

«Per adesso è ancora troppo presto per capire quando sarà emessa la sentenza» precisa il portavoce del pubblico ministero dopo la trasmissione del faldone di Puigdemont al collegio giudicante superiore. E neppure risulta chiaro se i reati contestati nell’ambito del mandato di arresto europeo saranno riconosciuti equivalenti a quanto previsto dalla legge tedesca. Anche se «il crimine di ribellione spagnolo è paragonabile all’alto tradimento sancito nel nostro codice penale, seppure enunciato in maniera diversa» come ha ricordato ieri la Procura dello Schleswig-Holstein.

Silenzio quasi assoluto, invece, dal governo Merkel. La ministra della Giustizia Katarina Barley (Spd) fa sapere solo di rimanere nel solco scavato dalla Grande coalizione alla vigilia di Pasqua, confermando la non-interferenza con il sistema giudiziario: «In caso contrario, sarebbe considerato un sopruso dell’autorità federale contro i giudici chiamati a decidere in piena autonomia».

Lezione di divisione dei poteri nella socialdemocrazia, ma anche evidenza che il governo non ha alcuna intenzione di porre il veto all’estradizione, come pure previsto dall’ordinamento tedesco.

Così Puigdemont rimane solo di fronte al destino in buona parte già scritto, nonostante il nuovo appello del suo avvocato spagnolo. «Teme per la sua incolumità nelle carceri spagnole in caso di rimpatrio» ha sottolineato ieri alla radio catalana Jaume Alonso-Cuevillas, rilanciando le accuse al governo Rajoy colpevole di «violazione dei diritti fondamentali».

Di qui lo status di «prigioniero politico» per Puigdemont; esattamente ciò che hanno scandito gli oltre 300 manifestanti che a Pasqua hanno chiesto il suo rilascio: di fronte alla Porta di Brandeburgo hanno srotolato un maxi-striscione reclamando «libertà per i detenuti politici catalani».

In attesa della sentenza dell’Alta corte, i legali di Pugdemont continuano nella messa a punto delle 85 pagine di contestazione alle accuse del tribunale di Kiel, fra cui spicca il reato di appropriazione indebita di fondi pubblici (utilizzati per il referendum sull’indipendenza) ipotizzata dai giudici spagnoli. Anche su questo si dovrà pronunciare il collegio supremo dello Schleswig-Holstein, ratificando, o meno, la custodia cautelare rinnovata ieri al leader catalano per «pericolo di fuga».

In parallelo a Berlino non si spegne l’eco del caso politico, con la Linke fermamente contraria all’estradizione. A Pasqua i deputati Diether Dehm, responsabile delle politiche europee del partito, e Zaklin Nastic, portavoce per i diritti umani, si sono intrattenuti per circa un’ora con Puigdemont nella cella del carcere di Neumünster. Atto di solidarietà politica e ispezione parlamentare per verificare le condizioni di salute che rimangono «buone»; ma anche occasione per divulgare il fresco parere del Servizio scientifico del Bundestag, secondo cui i perseguitati politici non si possono estradare neppure se previsto dagli accordi internazionali.

È l’unico, ultimo, sottilissimo, margine di manovra rimasto al Parlamento per impedire il rimpatrio coatto di Puigdemont; il solo cavillo capace di inceppare il meccanismo altrimenti destinato a procedere con il “pilota automatico” del mandato d’arresto europeo. Dopo il quale non resta che il ricorso alla Corte costituzionale di Karlsruhe.