«Se muoio io distruggo tutto». Antonello Montante lo ripeteva agli amici e soprattutto ai nemici.
L’inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa aveva fermato la sua incredibile ascesa in Confindustria e nelle stanze che contano, ma grazie alla sua fitta rete di relazioni con personaggi potenti della politica e degli apparati dello Stato l’imprenditore pensava di poterne uscire.

Quell’indagine che sembrava su un binario morto invece si è allargata, aggiungendo nuovi elementi. A dare impulso all’inchiesta sono stati due uomini chiave: Marco Venturi e Alfonso Cicero. Il primo è un imprenditore con aziende a Caltanissetta e a Catania, il secondo è un geometra al quale Montante qualche anno fa aveva affidato le chiavi di un istituto strategico: l’Irsap, l’ente che aveva assunto il coordinamento di tutte le aree industriali della Sicilia.
Marco Venturi faceva parte del gruppo, con in testa Ivan Lo Bello e Antonello Montante, che nel 2007 gestì la «svolta» legalitaria di Confindustria in Sicilia. Anni di battaglie contro il racket delle estorsioni mafiose, con l’introduzione della norma statutaria di espulsione per gli imprenditori collusi o colti a pagare il «pizzo», che consentirono a Confindustria di riaffermarsi nell’isola dopo gli anni bui segnati dalle inchieste giudiziarie che avevano quasi travolto l’associazione degli industriali. Col governo siciliano di Raffaele Lombardo, Venturi fu assessore alle Attività produttive, scelto proprio in quota Confindustria.

Un connubio quello tra Montante e Venturi che andava a gonfie vele. Uniti nell’associazione ma anche amici, con tante frequentazioni familiari.

È dopo la fuga di notizia sull’inchiesta a carico di Montante per presunti rapporti con mafiosi, che l’imprenditore comincia a nutrire dubbi sull’amico industriale col quale aveva intrapreso il new deal. Si sente «strumentalizzato», comincia ad avere paura.

Ripensa a certe operazioni e si rende conto che qualcosa non andava in certe scelte nonostante anche lui avesse fatto parte del gruppo. Ne parla con i collaboratori più stretti, tra cui Cicero, che all’Irsap aveva avviato una incisiva azione di legalità nelle aree industriali dell’isola, denunciando un sistema di corruzione e coinvolgendo dirigenti e funzionari pubblici. I due vengono intercettati dai pubblici ministeri che indagano su Montante, dicono di temere le ritorsioni dell’allora capo di Sicindustria. E in un’intercettazione, gli investigatori, scoprono, ascoltando Venturi, che Montante avrebbe fatto preparare un dossier di 500 pagine contro quelli che riteneva suoi nemici.

Quando l’ex assessore viene a sapere che Montante aveva fatto installare un sistema audio-video per «spiare» le attività dei magistrati nella sede della Confindustria centro Sicilia, guidata proprio da lui, decide di prendere definitivamente le distanze. Lo fa con un’intervista a La Repubblica.

Intanto Cicero, su pressioni di Montante & company, si legge nell’ordinanza, viene fatto fuori dall’Irsap e Venturi a quel punto teme per la sua incolumità. I due il giorno dopo si recano in procura. Dai pm andranno tante altre volte, riempiendo pagine e pagine di verbali.

L’imprenditore si recherà pure a Roma per essere ascoltato dalla Commissione nazionale Antimafia, che secreta l’audizione. Venturi diventa così il principale accusatore di Montante. Gli contesta di avere creato un sistema di potere nel suo interesse personale, di avere affidato a prestanome il controllo di società, di avere fatto operazioni discutibili con fondi pubblici, di avere acquisito sempre più potere occupando tante poltrone per favorire il sistema di relazioni che si era creato intorno a lui e ai suoi affari.