Lo Sprar di Gioiosa Ionica (RC), centro di accoglienza per rifugiati gestito dalla Rete dei Comuni solidali e coordinato da Giovanni Maiolo, dal 2013 ospita 75 migranti provenienti dal Bangladesh, dall’Afghanistan, dal Pakistan e dall’Egitto.

Molti di loro si sono resi protagonisti di una lodevole iniziativa: donare il proprio pocket money alle popolazioni colpite in queste ore dal terremoto.

Com’è nata l’idea?

Anzitutto tengo a precisare che il pocket money ricevuto dai migranti è l’equivalente di 2 euro giornalieri. Una miseria per tutti noi ma non per il richiedente asilo. Uno di loro, a poche ore dal disastroso terremoto, ha riferito con sguardo spento che le immagini delle case crollate gli ricordavano il paese da cui è fuggito. Ne è nata una discussione. Oggi (26 agosto, ndr) ci hanno consegnato ben 1000 euro per fare un bonifico all’Arci.

I vostri migranti sono operosi?

I nostri ospiti insegnano francese agli studenti italiani nelle scuole di Gioiosa; organizzano insieme agli abitanti del posto splendide giornate di volontariato per la pulizia del territorio; svolgono decine di tirocini formativi nelle aziende locali per imparare i mestieri e hanno costituito un gruppo musicale di percussioni chiamato «Kunta Kinte», che si esibisce nelle feste patronali (sì, musulmani che suonano, si divertono alle feste cristiane), e potrei andare avanti.

Qual è la differenza tra i Cara e gli Sprar?

I Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) dovrebbero essere in teoria centri di accoglienza, anche se ho difficoltà a definirli tali. Mi spiego. Non sono altro che grandi strutture che ammassano migliaia di migranti spesso in condizioni di sovraffollamento.

Gli Sprar al contrario vengono attivati dagli enti locali, quindi l’accoglienza diventa un processo concordato con le comunità di riferimento, e permettono una degna ospitalità che consente di svolgere un lavoro individualizzato per ogni singolo beneficiario.

«Accoglienza» non significa sbrigativamente dare vitto e alloggio. «Accoglienza», per come la intendiamo noi di Re.co.sol., vuole dire porre le basi per la convivenza tra i popoli.

Vi sono le condizioni per estendere il modello Gioiosa-Riace in altre zone d’Italia?

Sì, o meglio: è possibile. Servirebbero però le giuste condizioni politiche e un nuovo indirizzo culturale. Una rivoluzione dell’animo. Lo Sprar esiste in tutta Italia, eppure non vi sono molte “Riace” sparse per la penisola. Solo per fare un esempio: quando ho proposto al comune di Caulonia di modificare lo statuto per prevedere il diritto di voto attivo e passivo in favore dei migranti residenti sul territorio, il Sindaco era certamente d’accordo ma il Consiglio dei ministri ha in seguito bocciato quell’atto.

La Calabria è storicamente terra di migranti. Si spiega così la spiccata sensibilità di questa Regione?

In realtà, i peggiori razzisti sono a volte quelli che hanno vissuto in prima persona l’emigrazione. Fino a quando i migranti saranno gli «invasori» e i «terroristi» di cui si parla in tv, le barriere resteranno. Quando il migrante diventerà il tuo vicino di casa (anche per questo pratichiamo l’accoglienza diffusa) e vedrai tuo figlio giocare col bambino nigeriano, allora i pregiudizi crolleranno.

E’ quello che abbiamo verificato nei comuni aderenti a Re.co.sol., i quali praticano l’accoglienza. Sulla porta d’ingresso del nostro front office c’è un cartello che consente l’accesso ai cani ma lo vieta ai leghisti. Perché discriminiamo chi discrimina.

Vuole replicare a chi chiede di mettere gli sfollati in «strutture dignitose» e i migranti sotto le tende?

Lo trovo incredibile, forse perché non sono abituato a fare graduatorie tra esseri umani. Come dice sempre il sindaco di Riace, Mimmo Lucano, essere nati in Italia piuttosto che in Eritrea non è un merito ma è frutto del caso. Quindi nessuno può dirsi migliore di un altro per ragioni di nascita.

Io non vedo terremotati e rifugiati, vedo solo uomini e donne in difficoltà che vanno aiutati.