Il dado è tratto: è ufficiale. Dal referendum no triv, che il 19 gennaio approderà davanti alla Consulta, l’Abruzzo ha tagliato la corda. Si è defilata. E lo ha fatto nel modo più subdolo. Con un autentico voltafaccia del presidente della Regione, Luciano D’Alfonso. Voltafaccia dell’Abruzzo, verso l’iniziativa e verso le altre Regioni (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) che si sono mobilitate, dalla scorsa estate, con i propri Consigli, per promuovere e portare avanti la battaglia per la consultazione popolare.
Ieri mattina, a Roma, l’avvocatura della Regione Abruzzo ha depositato un atto, firmato dal delegato del Consiglio regionale per il referendum, Lucrezio Paolini, con cui si costituisce a fianco del Governo e contro le altre 9 Regioni nel giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale, chiedendo il rigetto dei quesiti. L’atto è stato presentato per conto del Consiglio regionale che, però, sulla faccenda, non è stato interpellato e non ne sa alcunché.

«Qui – affonda il coordinamento nazionale “No triv” – non siamo semplicemente di fronte al tradimento, di per sé grave, irresponsabile e censurabile, del referendum ma ad un atto squadrista di cui non può sfuggire la natura violenta e potenzialmente eversiva, al cospetto del quale le forze sinceramente democratiche, al netto della diversità di opinioni sull’oggetto del referendum, non possono rimanere inerti».

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«Il referendum? E’ passato. Ora serve altro»: è l’opinione di D’Alfonso, che aggiunge: «Ci siamo attivati noi tra i primi. Abbiamo conseguito il risultato di superare e di affondare l’”Ombrina” di ferro; abbiamo recuperato il mare blu entro le dodici miglia: per quanto ci riguarda è cessata la materia del contendere». Quindi via di corsa dal referendum, via a riacquistare il proprio posto di fedelissimo alla corte di Renzi. «Il 20 gennaio – dice ancora D’Alfonso – riprendiamo comunque l’iniziativa istituzionale, come da delega dei cittadini, per fare in modo che il Governo e il Parlamento producano nuova norma e nuovo assetto per aumentare il mare blu e per superare il problema delle isole Tremiti, che costituiscono un giacimento dell’umanità».

Il fronte antitrivelle infervorato anche dal caso «isole Tremiti». Sono 50mila le firme già raccolte dai Verdi con la petizione lanciata – su change.org – contro «il ministero dello Sviluppo economico che ha autorizzato le ricerche di petrolio di fronte» alle Diomedee e, in generale, contro «le perforazioni nei mari italiani» a caccia di greggio. Il primo a metterci il nome è stato il portavoce del «Sole che ride», il comico Giobbe Covatta. «Il 22 dicembre 2015 – ricordano i Verdi – con decreto 176 è stato conferito, alla società Petroceltic Italia srl, il permesso di cercare idrocarburi dinanzi ad uno dei gioielli ambientali più importanti d’Europa».

Verranno utilizzate le tecniche «più devastanti, come l’air gun, e siccome siamo in periodo di saldi» la società «pagherà allo Stato italiano, per bucare i 373 kmq di fondali (in cui figurano anche lembi di Abruzzo e Molise), la cifra di euro 5,16 per kmq per un totale di 1.928,292 euro l’anno. Ma non finisce qui, – viene fatto presente – altri paradisi ambientali sono in pericolo perché sono in arrivo permessi di fronte all’isola di Pantelleria, per un’estensione di 4124 kmq, e nel golfo di Taranto, per estensione di 4025 kmq, a favore della Schlumberger Italiana. Sempre a Pantelleria è stato sospeso un permesso all’Audax Energy, non revocato. In Italia sono vigenti permessi di ricerca di idrocarburi per un totale di 36.462 kmq: sulla terraferma sono 90, per un totale di 27.662,97 Kmq, e nel sottofondo marino sono 24, per 8.800 Kmq». I Verdi, per scongiurare lo scempio, hanno chiesto alla Regione Puglia, di istituire, in base alla Legge regionale sui parchi, un’area marina protetta che comprenda le Tremiti e la zona che il Mise vorrebbe far «esplorare» da Petroceltic.

«In un momento in cui stiamo cercando di ritrovare l’intesa tra un Governo del Pd e nove Regioni del Pd, – ribadisce il governatore della Puglia, Michele Emiliano – un po’ di prudenza non sarebbe stata male. L’eventuale revoca del decreto di ricerca sulle Tremiti sarebbe un gesto che aiuta». Legge di Stabilità emendata per bloccare-boicottare il referendum? «La procedura per evitare il referendum – evidenzia Emiliano – il governo l’ha realizzata in modo autonomo, senza un accordo. Abbiamo capito che voleva evitare il referendum ed ha fatto un decreto. Devo dire che per come è andata poi in Cassazione, lo si poteva forse fare un po’ meglio. Su tre quesiti l’emendamento ha accolto la volontà referendaria, su uno certamente no: quello della durata delle concessioni. Poi ce ne sono due per cui il Governo è andato in senso opposto e quindi ha determinato una teorica possibilità di conflitto di attribuzione». Il referendum? «Quello che poteva essere un bell’annuncio di pacificazione generale, è andato perso per ora, perché le Regioni hanno atteggiamenti diversi».