«Sono impressionato da una campagna del sì quasi intimidatoria. Non è vero che se cade questa riforma non se ne può fare nessuna. Lasciateci votare liberamente senza ridicole intimidazioni», viste le dichiarazioni della ministra Boschi sulla lotta al terrorismo finirà che «a chi non piace questo pastrocchio lo accuseranno di essere dell’Isis» È un Massimo D’Alema in grande forma quello intervistato ieri da La7 alla trasmissione Fuori onda: respinge l’accusa di avere qualche antipatia per Renzi, («io faccio politica, dal punto di vista personale sto una meraviglia», «mi è anche simpatico», giusto «un po’ arrogante», dice proprio così); si preoccupa «per la rottura sentimentale fra Pd e una parte grande del nostro popolo»; annuncia che non lascia il Pd perché «la tessera è un’abitudine e perché non tradirei mai i militanti»; dice che è pronto a leggere il libro in cui Renzi spiegherà la vera storia della defenestrazione di Enrico Letta perché «vede, io leggo i libri, ma credo che sia contro la linea del partito farlo». Ma è sul voto referendario che parte l’artiglieria pesante: da qui in avanti, annuncia, farà campagna per il no, pazienza se all’unica festa dell’Unità in cui l’hanno invitato «hanno valorizzato le mie competenze di politica estera». Insomma D’Alema rischia di vestire i panni di leader maximo del No: «Mi spenderò per evitare che venga adottata una cattiva Costituzione», dice, «un volumetto scritto male», che farebbe passare il sistema «dal bicameralismo perfetto al bicameralismo confuso», «porterebbe conflitti e contenziosi di fronte alla Corte» e «insieme alla legge elettorale al restringimento della democrazia». Insomma: Renzi «si è ispirato a Berlusconi», si è fatto una riforma «per un uomo solo al comando», ma stia attento «un abito tagliato su misura finisce che lo indossa qualcun altro».

E dire che sul fronte del governo ieri era trapelato ottimismo sull’esito della votazione, di cui ancora non c’è la data. Sul buon umore conta il successo delle firme dei comitati del sì e l’insuccesso di quelli del no. Per una segretaria della Cisl, Anna Maria Furlan, che si schiera con il governo c’è un segretario della Fiom, Maurizio Landini, che si «impegna» per il no. Sul cui fronte, da destra, oggi saranno lanciati i comitati dell’Udc che si aggiungono a quelli di Giorgia Meloni e di Gaetano Quagliariello.

Sull’altro fronte, invece, quello della legge elettorale, oggi arriva la proposta della minoranza dem. Che ieri però Renato Brunetta ha bocciato. «Brunetta dice no? Nei giorni scorsi invece da Forza Italia sono arrivate altre considerazioni», assicura il deputato Andrea Giorgis, autore della modifica con il senatore Federico Fornaro. Il testo prevede un sostanzioso ridimensionamento del premio di maggioranza e nel caso di non superamento della soglia (il 40% secondo le anticipazioni) prevede il riparto proporzionale dei seggi. Ma soprattutto prevede l’abolizione del secondo turno, l’assicurazione sulla vita che Renzi voleva per il Pd e che si è trasformato in un jolly per i 5 stelle, infallibili macchine da ballottaggio.

Ma non è il «niet» del capogruppo azzurro non fare andare lontano la proposta. Né lo scontato silenzio ostile a 5 stelle. A preoccupare la minoranza Pd semmai è la scarsa accoglienza generale. Tant’è che la proposta non è detto che sia depositata prima della pausa estiva. «Dipende dalla condivisione che incontra», spiega Giorgis, «l’obiettivo è superare la logica dell’Italicum approfittando dell’apertura del governo a eventuali cambiamenti, coinvolgendo più forze politiche possibile. Per questo non la presentiamo come un pacchetto chiuso». Forza Italia potrebbe giovarsene. Così la Lega. La sinistra a sinistra Pd – per il momento affaccendata con qualche problema interno – potrebbe apprezzarne lo spirito, visto che lo scorso week end ha rilanciato il sistema proporzionale.

Ma la verità è che fino al referendum sulla legge elettorale non si muoverà foglia. Se dovesse vincere il no se ne riparlerà senz’altro. In caso contrario forse, probabilmente, ma non è detto.