Il premier e il vicepremier, Angelino Alfano e Enrico Letta, esprimono grande soddisfazione. Ma molti dei commenti positivi sull’approvazione definitiva della legge sul femminicidio non sono all’insegna dell’entusiasmo: «Un «primo passo», un «punto di partenza», legge «importante, ma non basta», si ripete, contando su miglioramenti. 

A palazzo Madama si è votato in tempi record: il decreto andava convertito entro lunedì, e la camera lo aveva licenziato appena tre giorni fa. Il che ha suscitato la protesta dei senatori, che non hanno potuto far altro che votare in tutta fretta rispondendo, secondo il capogruppo del Pd Luigi Zanda, a un «obbligo morale», senza poter apportare ulteriori modifiche al testo, pena la sua decadenza. Critiche anche perché il decreto conteneva «norme disomogenee in violazione dei principi della Costituzione. È l’ultima volta che accettiamo qualcosa del genere», ha lamentato Anna Finocchiaro, Pd.

Degli 11 articoli del provvedimento, solo 5 infatti riguardano il femminicidio. Inserito in un pacchetto sicurezza che tra le altre cose contiene norme sulla militarizzazione della Val di Susa. Altre riguardano il commissariamento delle province, i vigili del fuoco, la protezione civile: «La domanda è – commenta il segretario del Prc Paolo Ferrero -: che c’entrano i No Tav e le province coi femminicidi? Sarebbe questo l’interesse del governo su questo fenomeno odioso? I movimenti e le associazioni femministe contestano giustamente il provvedimento. In primis perché ancora una volta la violenza di genere è trattata come un mero tema di ordine pubblico e sicurezza. Inoltre, l’irrevocabilità della querela toglie alle donne l’autodeterminazione». Il testo prevede che in presenza di gravi minacce ripetute, la querela diventa irrevocabile. Resta revocabile invece negli altri casi, ma la remissione può essere fatta solo in sede processuale.

Come già a Montecitorio, non hanno partecipato al voto Sel, i 5 Stelle e la Lega. I grillini avevano posto una pregiudiziale di costituzionalità sul provvedimento «fritto misto», bocciata, e chiedevano un mese di tempo in più per esaminare e eventualmente emendare il testo. Per la senatrice di Sel Loredana De Petris, «è inaccettabile e persino osceno che, con l’alibi di una legge importantissima come quella contro il femminicidio, si contrabbandino misure che andrebbero definite senza ipocrisia un nuovo ’pacchetto sicurezza’. Proprio per l’importanza e l’urgenza di contrastare il femminicidio, il governo avrebbe dovuto cercare un consenso unanime invece di approfittare dell’occasione per imporre le sue scelte in materia di sicurezza».

Critiche all’adozione di un decreto, per di più eterogeneo, arrivano da Titti Carrano, presidente di Donne in rete contro la violenza (DiRe), associazione nazionale dei centri antiviolenza: «Il decreto privilegia lo strumento penale e invece il tema va affrontato con politiche e leggi più strutturali e che non abbiano il carattere dell’emergenza», spiega. Riconoscendo che comunque il testo iniziale «è stato migliorato, ad esempio introducendo l’obbligo di tenere la vittima informata». Carrano chiede poi che le risorse previste per i centri siano inserite nella legge di stabilità, perché siano stabili e certe.