Ero ancora un ragazzo quando, nel 1967, ho conosciuto personalmente Emanuele Macaluso. Lui, che già era stato segretario regionale del Pci dal ’56 al ’62, era appena tornato in Sicilia, mandato da Longo a dirigere il partito per la seconda volta. Il caso volle che io e suo figlio Pompeo fossimo compagni di banco al ginnasio-liceo Garibaldi di Palermo, ma anche compagni di partito, in quanto entrambi iscritti alla federazione giovanile comunista, e diventammo ben presto amici intimi. Fu così che, frequentando intensamente casa Macaluso, lo conobbi nella sua dimensione familiare.

Ma quelli, tra il ’67 e il ’69, furono anni particolari, in cui il conflitto politico e generazionale fu anche lacerante nelle famiglie coinvolte. Ciò avvenne in modo emblematico a Palermo, dove nell’autunno del 1968 Pompeo ed io, insieme ad un gruppo “significativo” di iscritti e dirigenti della Fgci locale, rompemmo col partito sull’onda del maggio francese, dell’invasione di Praga, e delle suggestioni “guevariste” e “maoiste” di quella fase. Ma quel gruppo era “significativo” perché vi erano diversi figli di dirigenti di spicco del Pci, oltre a Pompeo Macaluso anche alcuni dei figli di Pompeo Colajanni, Pio La Torre e Nicola Cipolla.

QUESTO PRIMO ricordo mi consente di mettere in luce, accanto all’asprezza di quel conflitto politico e generazionale che non risparmiava nemmeno le famiglie dei dirigenti comunisti, l’umanità e la simpatia di Emanuele, che talvolta, mentre io e Pompeo studiavamo fino a tarda ora, ci preparava con cura paterna il caffè e, sfottendoci bonariamente, ci diceva che aveva messo sul fuoco la rivoluzione e che sarebbe stata pronta da lì a pochi minuti.

Naturalmente non furono solo rose e fiori, successivamente il dissenso tra padre e figlio si radicalizzò ed ebbero rapporti sporadici e molto polemici, e di ciò ne soffri molto, ma ne trasse anche la spinta per cercare e trovare una maggiore comprensione delle ragioni per cui i movimenti di quegli anni avessero affascinato e coinvolto tanti giovani intellettuali come suo figlio.

CON IL QUALE, che nel frattempo si era laureato, sposato e trasferito in Svizzera, riuscì a recuperare pienamente un rapporto intenso, non solo filiale ma anche di amicizia, di scambio intellettuale e umano. Di ciò e di tanto altro testimonia una sua bellissima intervista, rilasciata purtroppo in occasione dell’evento che più ha addolorato i suoi ultimi anni, la scomparsa prematura di Pompeo nel 2015. Un’intervista poco conosciuta, pubblicata su una rivista svizzera (Il Cantonetto, Lugano, luglio 2016), che meriterebbe di essere ripubblicata e letta con maggiore diffusione.

Il secondo ricordo, risale alla seconda metà degli anni 80, quando dopo la confluenza del Pdup nel Pci, ero molto impegnato nella battaglia per il rinnovamento del partito, molto spesso in contrapposizione con l’ala migliorista locale, che aveva come riferimento nazionale proprio Macaluso. Nel 1986, in veste di responsabile regionale del settore culturale, una delle mie prime iniziative è stata quella di organizzare un seminario rivolto al gruppo dirigente regionale del partito, dal titolo “Partito comunista e società siciliana dagli anni ’70 agli anni ’80: trasformazioni economico-sociali, blocco sociale e politica delle alleanze”.

IN QUEL SEMINARIO ho invitato tre noti sociologi, non iscritti al partito, un economista e un sindacalista a tenere le relazioni introduttive: Raimondo Catanzaro; Giovanni Mottura, Enrico Pugliese, Mario Centorrino e Gaetano Curcuruto. Si trattava del tentativo di contribuire alla rifondazione della politica del Pci nell’isola sulla base di un’analisi delle trasformazioni strutturali della società siciliana. Per favorire il confronto al massimo livello ho invitato anche Emanuele Macaluso, che apprezzò molto l’iniziativa e contribuì con un interessantissimo intervento di inquadramento storico del tema.

INFINE NEL 1989, dopo essermi dimesso dalla segreteria regionale del partito, pubblicai un libro, “L’identità debole. Il Pci in Sicilia tra gli anni ’70 e ‘80”, dove analizzavo le ragioni della crisi del partito e ricostruivo le vicende e il senso della battaglia politica condotta fino a quel momento. Si svolsero degli affollati dibattiti pubblici alla presentazione del libro a Palermo e a Catania.

Al confronto ho invitato, oltre a diversi esponenti di associazioni culturali e antimafia, dirigenti di partito e intellettuali di diverso orientamento politico e culturale, tra cui anche Emanuele Macaluso. Che accettò volentieri l’invito e contribuì, pur criticando com’è ovvio le mie posizioni, a rendere il confronto sempre includente e costruttivo, mai fazioso. Era questo l’uomo e il dirigente comunista che ricordo con grande affetto e stima.