«Quest’anno abbiamo organizzato una resistenza molto forte contro la diga Hidroituango. La mobilitazione si è tenuta il 14 marzo, in occasione della giornata mondiale contro le dighe. Ci siamo accampati lungo il fiume in 700 persone. A un certo punto nell’accampamento è entrato l’esercito e ha cominciato a sparare contro le postazioni della guerriglia. La gente si è trovata in mezzo e poi hanno arrestato 80 attivisti. Ci accusano di violare il diritto al lavoro. Noi non vogliamo un lavoro schiavizzante, un lavoro salariato dova la gente deve entrare e uscire a una certa ora. Qui ci stanno dicendo di abbandonare la nostra vita e la nostra cultura per comportarci come dice il padrone. Ci dicono che stiamo violando il diritto al lavoro formale e questo è molto grave, questo è il cuore del capitalismo, toglierci la libertà. Noi vogliamo alzarci la mattina quando ci pare, lavorare quando ci pare, andare al fiume a bagnarci e fare quello di cui abbiamo voglia. Questo è il fondamento della nostra lotta. Siamo contrari alla diga ma anche allo sfruttamento minerario, perché quello che stanno facendo è toglierci la nostra montagna».
Con questa parole Isabel Cristina Zulueta, attivista che si batte contro la diga Hidroituango nella regione di Medellin, ha aperto il quarto giorno di incontro internazionale sul modello estrattivista ed energetico che si è svolto nel Huila, in Colombia, dall’8 al 12 ottobre.
L’incontro è stato convocato da Asoquimbo, la piattaforma sociale che riunisce i contadini e i pescatori colpiti dalla costruzione delle diga di El Quimbo, un progetto targato Enel.
L’intervento di Isabel ha inaugurato la giornata dedicata alle lotte, ricordando anche l’attivista di Rios Vivos, Nelson Giraldo Posada, il cui corpo poche settimane fa è stato ritrovato nel fiume Ituango con evidenti segni di tortura. Rios Vivos è il movimento di resistenza ai grandi impianti idroelettrici che ha co-promosso l’incontro in Colombia e che, nell’ambito del movimento latinoamericano contro le dighe, ha promosso negli stessi giorni un meeting continentale in Guatemala, con una partecipazione senza precedenti: 500 persone da tutta l’America Latina.
In Colombia era presente una delegazione italiana, composta da attivisti della rete StopEnel e del Forum dei Movimenti per l’Acqua. L’iniziativa si è inserita nell’ambito della mobilitazione nazionale convocata per il 12 ottobre da movimenti e comitati durante il campeggio del luglio scorso sul Monte Amiata, altro territorio pesantemente colpito dallo sfruttamento geotermico dell’Enel. In più di venti città italiane sabato scorso sono state organizzate mobilitazioni per l’acqua pubblica, contro le discariche e gli inceneritori, contro la speculazione e il consumo di suolo, per un’agricoltura contadina, e nuove occupazioni promosse dai movimenti per il diritto all’abitare (www.ribelli.org). Un’azione coordinata e di respiro internazionale mossa dall’idea che quel capitalismo che toglie la libertà rappresenta una nuova frontiera globale di colonialismo dei territori, operato dall’alleanza sempre più coesa fra stato e mercato. Nel piccolo villaggio de El Jagua dove, dopo tre giorni all’Università Surcolombiana si è trasferito l’incontro in Colombia, si è riusciti a stabilire un collegamento telefonico con il collettivo Monte Libero, che ha occupato il Comune di Arcidosso per fermare la costruzione della centrale geotermica Bagnore IV. Un’iniziativa simbolica, che non ha mancato di emozionare i presenti, per rafforzare alleanze sempre più necessarie per confrontarsi con un modello di sfruttamento dei territori finalizzato al profitto privato, che oggi si riproduce identico ovunque nel mondo.
Il 12 ottobre la giornata tradizionale di lotta dei popoli indigeni, che si sono mobilitati in tutto il paese, è cominciata a Huila con una marcia di contadini e pescatori lungo il Maddalena. Il fiume più importante del paese, dove incombe la diga di El Quimbo. Un gesto teso a ribadire un’alleanza già sancita nei sessanta giorni di sciopero agrario che tra agosto e settembre ha paralizzato il paese, subendo una forte repressione da parte del governo, con un bilancio drammatico di morti e feriti. Un’alleanza che è la vera sfida politica dei movimenti colombiani e sulla quale in questi mesi si sta costruendo un inedito percorso comune. Asoquimbo chiede la sospensione immediata della costruzione delle diga e l’istituzione di una riserva agricola contadina. Sono infatti circa 13 mila le persone che perderanno casa, lavoro e sicurezza alimentare a causa del progetto situato in una delle regioni più fertili del paese. Il bacino della diga prevede l’inondazione di 8.300 ettari di terra produttiva che governo e impresa non sanno come rimpiazzare. I grandi possidenti terrieri della zona hanno già negoziato e venduto la terra ottenendo condizioni vantaggiose. Ai lavoratori invece viene offerta una compensazione di 10 mila euro a famiglia, nonostante la legge 1277 del 1993 preveda che le comunità colpite dai mega progetti debbano essere indennizzate con la terra. Ma la terra non c’è, e i contadini sgomberati con la forza dalle loro case continuano ostinatamente a tornare a occuparle, seminando raccolti che vengono ripetutamente distrutti con le ruspe. A fronte della paura diffusa causata dalla repressione dello sciopero agrario, la marcia si è svolta in un clima sereno, con la presenza della delegazione internazionale che ha visto oltre agli italiani attivisti da Spagna, Brasile e Guatemala e nonostante il controllo serrato del Battaglione Energetico, una forza speciale dell’esercito stanziato nella regione appositamente per proteggere il cantiere di El Quimbo.
Il 31 ottobre il caso delle dighe colombiane arriverà alla Corte Interamericana dei Diritti Umani. Si terrà la prima udienza tematica richiesta dai movimenti colombiani sulla violazione dei diritti umani legate alla costruzione dei progetti idroelettrici. C’è qualcosa di nuovo che si muove oggi in Colombia, con una campagna elettorale imminente e sullo sfondo il dialogo di pace dell’Avana. C’è da scommettere che altre iniziative non si faranno attendere.
*Re:Common