Una città costruita scavando, un mondo ribaltato, la vita sotto terra dove di solito si pensa stiano i morti. Ci sono la fatica, il dolore e la bellezza in Dal profondo, documentario molto bello e forte di Valentina Pedicini, presentato in concorso nella sezione in Prospettive Italia Doc del festival di Roma. La regista brindisina, con la sua piccola troupe di quattro persone, è diventata «minatrice onoraria» della miniera sarda di Carbosulcis, restando per circa due anni nei cunicoli a circa 500 metri sotto il livello del mare. È la storia di un mondo che finisce e di una donna, Patrizia Saias, unica minatrice tra 150 uomini. Valentina Pedicini è stata con loro, quasi a diventare una di loro, prima, durante e dopo l’occupazione. «Un momento per me molto significativo – ha raccontato l’autrice – è stata la chiusura della miniera durante la protesta. Tutte le tv furono lasciate fuori e noi restammo dentro, mi accorsi che eravamo considerati parte di quel mondo». «L’idea di girare il documentario – ha spiegato la regista – è venuta guardando le miniere abbandonate: mi sono sembrate un set fantastico e ho pensato che sotto ci fosse una storia non indagata. Ho scoperto che una miniera era ancora attiva e, da un giornale, ho saputo di Patrizia e l’ho contattata».

«E io l’ho portata in crociera – ha scherzato la minatrice – ma come crociera intendo il… punto d’incontro tra due gallerie. Ho accettato la proposta di Valentina; facevo semplicemente il mio lavoro ed è stato facile raccontarmi. Sono 26 anni che ’opero’ sottoterra, come mio padre che ci è stato per 37. Lui non mi ha mai scoraggiato, ho studiato da perito minerario e prima di essere assunta ho fatto anche la speleologa: le grotte hanno un grande fascino, ma le miniere di più».

«Sono stata un anno quasi senza filmare, per creare un rapporto con loro e diventare parte di quel mondo – ha sottolineato Pedicini – grazie a quelle ricerche ho vinto il premio Solinas e ho iniziato la produzione che è stata possibile grazie a La Sarraz e alle film commission di Alto Adige, Sardegna e Piemonte. Il montaggio è durato sei mesi, sembrava di essere in miniera, compreso il senso di solidarietà cresciuto tra noi. Abbiamo curato la colonna sonora e i suoni per rendere vivida la sensazione di stare sotto terra». Il documentario è realizzato con stili diversi: molto vicino ai protagonisti nelle gallerie, ampi movimenti di macchina nelle visioni d’insieme, oppure da fermo nei momenti pubblici e assembleari.

«Una scelta di regia, che rispecchiava quanto stavamo vivendo quotidianamente. Mentre lavoravano, la camera doveva sparire e dovevamo stare vicini. Dovevamo ridurre le situazioni di pericolo. Ci sono state due frane mentre giravamo, abbiamo ’ricevuto il battesimo’, come dicono loro. Le parti più ’sceneggiate’ vogliono raccontare la miniera in maniera diversa, come luogo di dolore e fatica, ma anche una casa per i minatori. L’ho sentita quasi come fosse una cattedrale. Così il film ha anche un tono di preghiera, che è anche il loro spirito. Si affidano molto a Santa Barbara, hanno un attaccamento al sacro e alla terra».

E ora qual è la situazione? «L’azienda ha presentato un piano di dismissione – ha concluso Patrizia Saias – molti lavoratori hanno maturato, grazie allo scivolo, la pensione. Ma per i più giovani è un problema, bisogna trovare una soluzione e tocca alla politica. È comunque un mondo che finisce, ci sentiamo come i dinosauri».