Legge di bilancio uguale fiducia, non lo ha certo inventato il governo giallobruno. Che tuttavia ha scritto la parola «fiducia» nella prima riga del famoso «contratto», al quale rimanda per giustificare ogni cosa. Intendendo però il contrario: «Vogliamo rafforzare la fiducia nella nostra democrazia e nelle istituzioni. Intendiamo incrementare il processo decisionale in parlamento e la sua cooperazione con il governo».

E invece alla camera è stata fatta votare con la fiducia una manovra finta, buona solo per prendere tempo a Bruxelles. E in commissione al senato per tutta questa settimana è andata avanti la stessa recita, inutile. Il testo sarà distribuito solo un attimo prima del voto.

Alla fine, ha candidamente spiegato il presidente del Consiglio Conte, «saremo costretti a presentare il maxi emendamento in aula, ci dispiace perché è chiaro che ci piacerebbe la più ampia dialettica per il rispetto dell’aula parlamentare, ma non sarà per nostra volontà o per scelta nostra». E di chi, se come raccontano non c’è stato alcun cedimento alla commissione europea?

Legge di bilancio è uguale fiducia, negli ultimi anni (decenni) è sempre stato così, Renzi ne fece una teoria: «Si scrive bilancio, si legge fiducia». Anche se nel 2015, con il suo governo, si registra l’unico caso recente di approvazione della manovra senza fiducia. Accadde alla camera in un passaggio, però, intermedio tra due fiducie al senato. Il governo Renzi è stato anche l’unico governo capace di chiedere la fiducia sulla legge di bilancio avendo però già deciso di sfiduciarsi da solo, è successo nel dicembre del 2016 a poche ora dalle dimissioni presentate dopo la sconfitta nel referendum costituzionale.

La legge di bilancio 2019 segna però un passo in avanti nella storia parlamentare. Non esattamente nella direzione indicata dal presidente della camera Fico nel suo discorso di insediamento, quando si impegnava a «difendere il parlamento da chi cerca di influenzarne i tempi e le scelte». Si va invece nella direzione opposta, tanto che questa volta la fiducia sarà chiesta su un testo che la commissione del senato non avrà né approvato né esaminato. Che non conosce. Il governo detta, l’aula del parlamento esegue. Il provvedimento più importante della vita democratica (?) delle istituzioni, che contiene tutte le norme decisive compresa quella assassina del pluralismo informativo, non è una legge. È un editto.
Spiega il deputato del Pd Ceccanti che «nella XIV legislatura 2001-2006, con il cosiddetto lodo Pera (allora presidente del senato)-Morando (allora capogruppo Ds in commissione bilancio) fu stabilita una sorta di convenzione costituzionale per la quale il governo poneva la fiducia in aula sul testo approvato dalla commissione bilancio; quindi, su un testo parlamentare e non un testo esclusivamente governativo». L’effettivo controllo delle camere sulla legge di bilancio è una caratteristica irrinunciabile della forma di governo parlamentare. Lo ha ricordato di recente (marzo 2018) anche la Corte costituzionale.

Il primo anno di governo giallobruno finisce così con lo stravolgimento dei principi annunciati in apertura del contratto. E sostenuti in particolare dai 5 Stelle. Che ormai non si preoccupano nemmeno di dissimulare. Luigi Di Maio ieri ha detto (non per la prima volta) che entro l’anno prossimo taglieranno i parlamentari, cedendo di nuovo alla tentazione di dettare al parlamento i tempi di approvazione di una riforma costituzionale (e pazienza che l’annuncio precedente, quello di approvare il referendum propositivo entro maggio, si è immediatamente rivelato un bluff).

La settimana prossima si aprirà con un’altra forzatura di questo genere, su un’altra legge bandiera dei 5 Stelle: l’anti corruzione. Passata al senato in pochi giorni sulla testa dei senatori (indovinate un po’: con la fiducia) dev’essere approvata definitivamente entro il 22 dicembre perché i grillini hanno già convocato una festa di piazza. Per farlo la maggioranza alla camera concederà solo poche ore di esame in commissione, senza riaprire l’esame dell’intero provvedimento. Si potrà parlare solo dell’emendamento cancellato al senato. C’è un precedente, faranno notare i grillini, quello in cui Renzi sfidò il senato a non riaprire l’esame della riforma costituzionale dopo la seconda lettura, e la ebbe vinta. Allora i 5 Stelle occupavano per protesta l’aula parlamentare. Oggi dimostrano di aver imparato la lezione, quella cattiva.