Il critico americano Jonathan Rosenbaum lo ha definito «il cineasta african american più importante del Paese», eppure nonostante il suo magnifico Killer of Sheep (1977) sia entrato tra i titoli della Library of Congress, i molti omaggi e i riconoscimenti critici Burnett – nato a Vicksburg nel Mississippi – continua a essere un «cineasta indipendente», lontano dalla popolarità mainstream e dal mercato.

 

 

Dal Mississippi Burnett arriva a Los Angeles da bambino e vi rimane per tutta la vita.
È lì che nascono i suoi film popolati da personaggi che non corrispondono a nessuna «tipologia» dell’eroe nero, politici a cominciare proprio da questa rottura che rifiuta il sensazionalismo, le convenzioni del genere in favore di una narrazione dell’esperienza quotidiana.
Several Friends, il primo film, del 1969 in questo senso è già un manifesto: una giornata poco particolare di un gruppo di amici nel ghetto nero di Los Angeles tra liti, una automobile da riparare, una lavatrice imbizzarrita.

 

 

È lo stesso flusso di vita che ritroviamo in Killer of Sheep (1977) – «Questo film cattura con immediatezza come si comportano i bambini, come litigano, giocano, piangono e anche come a volte possono essere crudeli in risposta alle loro paure» ha scritto Roger Ebert. La realtà di Watts, a metà degli anni ’70, si palesa negli occhi del sognatore Stan, che ama rimanere in silenzioo tenendo in mano la sua tazza di caffé, ballare lentamente con la moglie, giocare insieme alla figlia. Istanti di dolcezza e la fatica aspra del presente.