Nel tardo pomeriggio, quando ormai la rivolta contro le insultanti «verità» del Cairo sulla morte di Giulio Regeni monta come un’onda per tutto il paese, è il procuratore Giuseppe Pignatone a pronunciare parole ufficiali, pesanti come macigni: «La Procura di Roma ritiene che gli elementi finora comunicati dalla Procura egiziana al team di investigatori italiani presenti al Cairo non siano idonei per fare chiarezza sulla morte di Giulio Regeni e per identificare i responsabili dell’omicidio», scrive nero su bianco in un comunicato. È l’intimazione dello stop alla macabra messa in scena di una storia improbabile, la ’scoperta’ della colpevolezza di una banda di cinque sequestratori, ovviamente già morti. I magistrati italiani non entrano neanche nel merito: «È necessario che le indagini proseguano». Del resto a quell’ora del pomeriggio anche il ministero dell’interno egiziano si è arreso all’evidenza ed ha promesso che «le indagini andranno avanti». La procura di Roma è ancora in attesa che il Cairo «trasmetta le informazioni e gli atti, da tempo richiesti e sollecitati, e altri che verranno richiesti al più presto in relazione a quanto prospettato ai nostri investigatori». Le parole di Pignatone rivelano che la collaborazione fra inquirenti non c’è mai stata. Oggi le «prove» del Cairo non convincono nessuno. E la foto dei documenti del ricercatore – lindi, puliti, perfetti – adagiati su un piatto d’argento aggiungono beffa a una menzogna già così grossolana.

Il governo alla fine deve rispondere alla famiglia

Palazzo Chigi per tutta la giornata prova a cavarsela facendo sapere che Renzi è determinato a ottenere «piena, totale luce, senza ombre o aloni sulla morte» del ricercatore italiano, che non si accontenterà «di niente di meno che la verità».

Ma lo smacco è evidente. Dopo la chilometrica intervista al dittatore al Sisi pubblicata in due puntate dal quotidiano La Repubblica a metà marzo, dove il generale golpista aveva assicurato «da padre» la verità sull’omicidio Regeni, il presidente Renzi, (definito ostentatamente «un vero amico mio e dell’Egitto») aveva parlato di «evidenti e significativi passi avanti».

La risposta, la verità-farsa, è uno sberleffo all’Italia che fa il giro del mondo. Mentre nel paese monta l’indignazione, Renzi è nell’isola di Lampedusa. Il suo portavoce Filippo Sensi diffonde belle foto cariche di pathos, mani strette a bambini migranti, grande empatia con l’eroica sindaca Giusy Nicolini. La beffa del Cairo rovina l’atmosfera. In Italia la rivolta è bipartisan e va da Sinistra Italiana a Forza Italia passando per l’ex presidente Enrico Letta all’ex ministra Emma Bonino. Siamo a due mesi esatti dal rapimento di Giulio. Sua sorella Irene posta su facebook una foto con i genitori Paola e Claudio. I tre tengono lo striscione giallo «Verità per Giulio» della campagna di Amnesty International. Poi la famiglia diffonde un comunicato. I genitori si descrivono come «feriti ed amareggiati dall’ennesimo tentativo di depistaggio da parte delle autorità egiziane sulla barbara uccisione di nostro figlio» ma anche «certi della fermezza con la quale saprà reagire il nostro governo a questa oltraggiosa messa in scena che peraltro è costata la vita a cinque persone». La verità, concludono, si deve «non solo a Giulio ma alla dignità di questo paese». A questo punto, ma solo a questo punto, il ministro degli esteri Paolo Gentiloni rassicura che «l’Italia insiste: vogliamo la verità»; con un tweet.

Enrico Letta: mi dispiace, #iononcicredo.Rivolta social

Ma le parole del ministro arrivano alla fine di una lunga giornata infiammata dalla rabbia per l’ennesima presa in giro egiziana. Fra i primi a reagire è l’ex presidente del consiglio Letta che twitta: «Mi dispiace,#iononcicredo. Non fermarsi a chiedere #veritàpergiulioregeni». La rete si inzeppa di messaggi dello stesso tenore. Per l’ex ministra Emma Bonino, intervistata da SkyTg24, «siamo di fronte a un’ennesima fabbricazione». A sinistra la parola chiave è «oltraggio». Per Francesco Ferrara (Si), componente del Copasir «se lo scopo del sequestro era ottenere un riscatto perché avrebbero seviziato per giorni Giulio? E perché avrebbero tenuto con sé i suoi documenti del ragazzo?». Il presidente della Commissione Esteri del Senato Pier Ferdinando Casini si dice «molto perplesso» e cita Andreotti «a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca». Mezza Forza Italia interviene a chiedere che il governo faccia la sua parte: «Basta con le ricostruzioni false e ignobili, è come se il nostro connazionale venisse nuovamente ucciso», dichiara Mara Carfagna.

Sono le stesse parole, o quasi, con cui invece i Cinque Stelle attaccano Renzi. Il clima da unità nazionale che si era materializzato negli scorsi giorni sul terrorismo jihadista svanisce di colpo. Lo stesso Alessandro Di Battista che aveva fatto i complimenti al premier per la sua «resistenza» alle pressioni interventiste sulla Libia, stavolta non fa sconti: «Forse l’interesse del governo verso gas e petrolio è più importante di un nostro cittadino barbaramente ucciso? Gentiloni venga a fare chiarezza in Parlamento, siamo stanchi dell’immobilismo del nostro governo di fronte alla totale mancanza di collaborazione da parte dell’Egitto».

La sinistra chiede il ritiro dell’ambasciatori

Ma la richiesta più impegnativa è quella di Sinistra Italiana. La versione del Cairo è «ridicola e offensiva», dice Nicola Fratoianni, che un mese ha accompagnato i legali della famiglia Regeni dall’ambasciatore egiziano a Roma. «Adesso basta. Da settimane chiediamo al governo azioni forti, fino al ritiro dell’ambasciatore italiano e alla sospensione delle relazioni commerciali con l’Egitto. È il momento di farlo».