Dire che quella che è arrivata ieri a Ingroia è un’altra tegola è un approssimazione per difetto. Intanto perché le tegole sono due: ieri mattina la terza commissione del Csm ha votato all’unanimità il no alla richiesta del pm di Palermo di assumere l’incarico di presidente di Riscossione Sicilia spa (la Serit), la società per la gestione delle imposte siciliane, che nei giorni scorsi gli è stato offerto dal governatore Rosario Crocetta. Nel pomeriggio il Csm, stavolta riunito nel plenum, ha fatto slittare la decisione a oggi di farlo tornare in servizio ad Aosta, l’unico collegio italiano in cui il leader di Rivoluzione civile non si è candidato capolista. Si saprà stamattina, insieme al ruolo con cui il pm dovrebbe rientrare in servizio. Un dettaglio non da poco: se nel ruolo di giudice, ma in sovrannumero, «un quasi disoccupato stipendiato», secondo lo stesso Ingroia; oppure in procura, come propone Magistratura indipendente, la componente di centrodestra. Ma contro quest’eventualità gioca una circolare di palazzo dei Marescialli vieta a chi è stato in aspettativa elettorale di rientrare in magistratura con il ruolo di pm. Comunque vada, il trasferimento ad Aosta farebbe decadere per lui la possibilità di ricoprire l’incarico offertogli da Crocetta.

Non solo: se Ingroia accettasse, per tre anni gli sarebbe preclusa la possibilità di assumere incarichi fuori ruolo. In soldoni, addio politica. E invece Ingroia ha giurato di di portare avanti la sua «rivoluzione». Anche se più sobriamente declinata al rango di «Azione civile»: così si chiama l’associazione di cui è presidente, attiva a Catania e a Roma, a nome della quale negli scorsi giorni ha appoggiato la candidatura di Ignazio Marino alle primarie di Roma. La «Rivoluzione civile» invece è stata seppellita: dal voto e dalla clausola di utilizzo di nome e marchio solo con il consenso unanime dei suoi fondatori. Clausola imposta illo tempore dal sempre accorto collega Di Pietro.

Due tegole su Ingroia, dunque, la seconda con ogni probabilità sarà formalizzata oggi. Il magistrato per ora tace: «Non conosco le motivazioni del Csm e non commento». Quelli che gli sono rimasti vicini sospirano: «Gliela stanno facendo pagare». Ma dai Marescialli una motivazione arriva: nell’incarico che Crocetta gli ha offerto non c’è «l’interesse dell’amministrazione della giustizia». Seguono precedenti recenti di decisione analoghe prese con la stessa motivazione. Il ruolo di presidente della Serit non sarebbe «attinente» con le funzioni di magistrato.
L’esatto contrario di quello che sostiene l’ex pm: «Non è un ruolo burocratico, ma di grande impatto simbolico e di indirizzo. La riscossione dei tributi in Sicilia è stata sempre nelle mani della mafia. Non a caso in passato era in mano ai cugini Salvo».

Ora tocca al plenum del Csm confermare o rovesciare la decisione della commissione. Che però ha votato all’unanimità, segno che fra i magistrati c’è un’ampia omogeneità di vedute. Poi toccherà a Ingroia decidere se fare ricorso.Ma chi ha parlato con lui scommette «che ad Aosta non ci andrà mai», cosa che del resto lo stesso Ingroia aveva assicurato negli scorsi giorni: «Ci andrò in vacanza, come in Guatemala».

Al netto del ricorso, Ingroia potrebbe però dimettersi dalla magistratura. Crocetta quasi lo invita a farlo. «Noi ad Atene rispettiamo la legge e i magistrati», ha commentato ieri. «A questo punto la scelta spetta a Ingroia. Gli abbiamo fatto la proposta con onestà e sincerità pensando che possa svolgere un grande ruolo alla guida di Riscossione Spa».

Decisione difficile, quella di Ingroia, quella di lasciare la toga. Che in molti, non amichevolmente, in campagna elettorale gli avevano chiesto. Ora a destra l’ironia contro di lui si spreca. Nel centrosinistra i toni sono appena meno pungenti, visto che nel giro di poco un agguerrito avversario politico si è trasformato in un alleato a Roma, in predicato di essere sdoganato per una qualche forma di ammissione nella coalizione nazionale. Eventualità difficile, però: le scorie della campagna elettorale non si riassorbiranno facilmente, soprattutto quelle della sanguinosa polemica con il collega Pietro Grasso, nel frattempo diventato presidente del senato a nome del Pd.