Nonostante il suo debutto coincidesse con Bookcity e i suoi 1400 eventi, Filmmaker Festival a Milano è partito con il tutto esaurito alla proiezione di Monrovia, Indiana, l’ultimo lavoro dell’87enne Frederick Wiseman. Il pubblico di Filmmaker, che continua fino al 24 novembre, offre uno spaccato interessante su quegli spettatori che non si accontentano del cinema mainstream e sono mossi dalla curiosità verso nuovi sguardi e modi di raccontare.

TRASVERSALI per età e professioni, gli amanti di Filmmaker si muovono in un tratto di strada lungo cinquecento metri, popolato da bar, ristoranti ed enoteche che unisce lo spazio Oberdan e l’Arcobaleno Film center, le due sedi del festival. Alla fine di ogni proiezione si formano all’ingresso delle sale capannelli di gente che, fumando e resistendo a freddo e pioggia, si scambiano impressioni e idee con gli organizzatori, i curatori delle varie sezioni, i giurati e i registi presenti. È un po’ come una grande comunità refrattaria ai red carpet e unita dalla voglia di scoprire ciò che altrove, almeno in Italia, sarebbe difficile se non impossibile vedere.

GRANDE soddisfazione l’hanno ricevuta dai due pomeriggi dedicati a Kurt Kren, regista austriaco che, come ha scritto Tommaso Isabella nel bel catalogo, «Per primo negli anni Cinquanta, contemporaneamente al connazionale Peter Kubelka e in anticipo di un decennio su ogni altro, aveva sfidato qualsiasi concezione narrativa, espressiva e rappresentativa del cinema in favore di un approccio radicalmente materialista, fondato sull’idea che il film, prima di rappresentare alcunchè, dovesse rappresentare se stesso». Bancario licenziato per il suo sodalizio con gli Azionisti e perché coinvolto nello scandalo dell’happening «Kunst und Revolution» all’Università di Vienna nel 1968, Kren, morto nel 1998, è un punk strutturale che mette ordine nel caos e caos nell’ordine.
Per nulla caotico, ma formalmente impeccabile, a volte forse troppo, è De Sancto Ambrosio di Antonio Di Biase, film in concorso internazionale che, dall’alto del campanile della basilica di sant’Ambrogio, a Milano, mostra frammenti di vita che passano lì sotto nell’arco di un anno. Un padre che guarda la figlia giocare, un matrimonio, un funerale, ombre di turisti che si fanno un selfie, una ragazza che chiacchiera con un venditore ambulante africano e prima di salutarsi lui la trattiene per una mano sono le tessere del mosaico umano su cui il regista concentra lo sguardo. La città è lontana, compare solo con brevi inquadrature sui tetti.

Ben oltre guarda Baikonur-Terra con cui Andrea Sorini ha filmato i preparativi di una missione Soyuz nella base spaziale russa da cui partirono lo Sputnik nel 1957 e la missione di Gagarin. Qui tutto parla dell’esplorazione dello spazio e porta i segni della storia: il monumento alla cagnetta Laika, il prete ortodosso che benedice con abbondanti lavacri razzi e astronauti, gli edifici cascanti dove vivevano dei militari, l’impatto della tecnologia che ha distrutto gran parte del lago di Aral. Eppure, quando il missile esce dal cosmodromo per il lancio, la sua immensa ombra scura che si staglia sul sole al tramonto più che alla conquista dei cieli ha qualcosa di atavico e fa pensare alla processione funebre con cui inizia l’Otello di Orson Welles.

OGGI, mercoledì, inizia Carta Bianca a Luca Guadagnino, ovvero una scelta di film che più hanno contato nella formazione cinematografica del regista italiano. Si inizia con la sua prima epifania, Piso Pisello di Peter Del Monte che Guadagnino vide a Palermo a 10 anni, segue Europa 51 di Roberto Rossellini.