C’è tutto l’odore del depistaggio nell’ultima versione che arriva dall’Egitto sulla morte tragica di Giulio Regeni. Ma c’è anche un sapore insopportabile di provocazione. La versione è così palesemente inverosimile da poterla ritenere per l’appunto una provocazione verso un paese intero quale l’Italia. Dunque una banda di criminali avrebbe sequestrato il povero Giulio Regeni. Lo avrebbe torturato per giorni fino ad ammazzarlo. Non avrebbe però chiesto riscatto. A due mesi dalla scomparsa di Giulio, quindi giustizia sommaria sarebbe stata fatta. I criminali sarebbero stati tutti ammazzati. E si sarebbe trovato pure traccia di cose appartenenti a Giulio nelle mani della sorella di uno di loro. Dunque in questo modo si spera di mettere la parola ‘fine’ su questa storia. Tanto nessuno potrà contraddirla visto che i presunti assassini di Regeni sarebbero oramai tutti morti ammazzati.

Solo gli ingenui e i complici possono credere a una ricostruzione di questo tipo. Sin dall’inizio dall’Egitto si è inteso trattare il caso Regeni come un caso di cronaca nera e non di diritti umani violati. La presenza al Cairo del procuratore Pignatone sembrava segnalare una disponibilità alla cooperazione giudiziaria. Invece siamo tornati alla tesi della banda di criminali e a gettare ombre su Giulio.

I segni sul corpo di Regeni sono segni di tortura e la tortura non è mai un fatto di cronaca nera. La tortura è un crimine contro l’umanità che va al cuore del rapporto tra lo Stato e i cittadini. Al pari del genocidio e dei crimini di guerra, non a caso, è tra i delitti che possono essere giudicati dalla Corte Penale Internazionale nata a Roma nel 1998 e da allora funzionante tra mille ostacoli opposti da Stati refrattari alla giustizia internazionale. Pochi giorni fa in modo auto-celebrativo e auto-assolutorio Al Sisi in un’intervista rilasciata a la Repubblica si dichiarava pronto ad aiutare la ricerca della verità. Se questa è la verità che lui intendeva, le autorità italiane, giudiziarie e politiche, ben possono ritenersi vergognosamente e spudoratamente prese in giro. Uno Stato democratico è forte, anche nei rapporti commerciali, se non abbassa la testa, se non accetta compromessi sui diritti umani, se alza la voce, se sa tirare la corda.

Tutti noi che ci occupiamo di libertà civili e diritti umani sappiamo che anche in questo campo bisogna lavorare di diplomazia. Ma diplomazia non significa capo chino, sottomissione, posposizione di valori etici e umani a bisogni economici e commerciali. Significa sapersi imporre, urlare se necessario che l’Egitto non sarà mai per Renzi e il governo italiano un alleato (finanziario o militare) affidabile se si può consentirgli di prendere in giro un intero Paese (il nostro) senza troppa cura, esplicitamente e volgarmente. Il tutto sul corpo di un giovane ricercatore universitario.

Noi continueremo nella campagna perché vi sia verità per Giulio Regeni. Abbiamo sufficiente esperienza per sapere che il silenzio porta all’impunità, all’oblio. Che solo una forte pressione dell’opinione pubblica potrà costringere le autorità italiane a reagire di fronte alle bugie e ai depistaggi. Una pressione che deve avvenire nel cuore della società italiana ed internazionale. Chiediamo ai parlamentari italiani ed europei di mobilitarsi e chiedere anche loro verità per Giulio. Ai rettori delle Università di dedicare un’aula di studio a Giulio. A mondo dello sport di farsi sentire. Chiediamo al governo italiano di non abbassare la testa.

* presidente di Antigone e Cild