I territori e le popolazioni delle diverse aree del pianeta fanno i conti con la pandemia in atto. L’emergenza sanitaria si sovrappone alla crisi ecologica, rendendo necessario e urgente l’individuazione di percorsi che consentano di stabilire una nuova relazione con l’ambiente. Va in questa direzione il documento elaborato dal Comitato Italiano di sostegno al Movimento dei Sem Terra del Brasile (MST). Il documento analizza la realtà brasiliana e i processi in atto, in particolare nel campo agricolo, individuando analogie e differenze con la realtà italiana. Ne parliamo con Antonio Lupo, medico e presidente di Amig@s MST-Italia.

Nel vostro documento si fa riferimento alle «fratture ecologiche» che sono alla base di questa pandemia. In questi mesi si è parlato molto degli aspetti sanitari, ma è rimasto in secondo piano il ruolo che hanno le attività umane nel favorire l’insorgenza e la diffusione delle epidemie.

Cito Bàrbara Loureiro e Luiz Zarref, del settore produzione MST: «La deforestazione degli habitat naturali diffonde virus e batteri e il contagio, specie nelle enormi e malsane megalopoli. L’intensificarsi delle fratture ecologiche ha tre cause umane: la produzione industriale su larga scala di animali confinati (fabbriche proteiche); l’aumento delle monocolture per produrre mangimi, con pesticidi e altri input associati; la crescita urbana incontrollata e la sua base alimentare dannosa».

Denunciate con forza il modello estrattivista, accaparramento delle risorse del territorio a scapito delle economie locali, che opera sia sulle risorse del sottosuolo che sulle produzioni agricole.

In Brasile l’estrattivismo agricolo ha deforestato la Foresta Atlantica (canna da zucchero, caffè, più di recente l’eucalipto), la metà del Cerrado (soia, mais e allevamenti), infine il 15% dell’Amazzonia (legno, allevamenti, soia); quello minerario iniziò con l’oro, prima che negli Usa, continua col ferro, nelle mani della multinazionale Vale. Entrambi continuano ad espellere contadini e comunità indigene. Anche l’Italia è da sempre estrattivista, nel dopoguerra in particolare in Pianura Padana (il metano, le monocolture di mais per gli allevamenti intensivi).

Il Brasile è diventato il centro mondiale dell’agrobusiness, caratterizzato da concentrazione fondiaria, deforestazione, coltivazioni transgeniche, allevamento industriale, ma è l’agricoltura contadina a fornire il 70% del cibo che arriva sulle tavole dei brasiliani.

E’ vero, ma il futuro è oscuro. L’agrobusiness, insieme ai latifondisti, ha il 77% della terra, le monocolture di mais e soia, quasi tutte Ogm dal 2004, dopo che Lula autorizzò l’uso. Nel 2017 i contadini brasiliani erano il 13,8% degli occupati, nel 2006 il 18,9%. Il Brasile è leader mondiale nell’export di soia Ogm e di carne fresca e congelata in Ue e Cina. In Italia è proibito coltivare Ogm, ma si mangia ogni giorno Ogm con la carne e i derivati del latte.

In Brasile le migrazioni interne hanno portato alla formazione di megalopoli in cui si registrano le più acute diseguaglianze sociali, accentuate dal coronavirus, mentre nelle zone rurali milioni di contadini combattono per sottrarre al latifondo aree da coltivare e rendere produttive.

In Brasile ci sono 6329 favelas vicino alle megalopoli: Rio de Janeiro conta 10 milioni di abitanti, la grande San Paolo 22 milioni… e ci vivono 13,5 milioni di poveri, con un reddito di circa 24 euro al mese, e sotto il controllo di bande mafiose e della polizia. Molta terra è in cattive condizioni, devastata dagli allevamenti estensivi e dalle monocolture Ogm. I contadini MST, soprattutto quelli degli accampamenti, resistono alle violenze e agli sgomberi, non vogliono essere cacciati nelle tremende favelas.

La riforma agraria invocata da decenni e mai attuata è alla base delle diseguaglianze e dei conflitti del campo, con i lavoratori che pagano un prezzo altissimo. Quali sono le iniziative che il MST sta mettendo in atto per fronteggiare le politiche del governo Bolsonaro?

La vittoria della Campagna Fora Bolsonaro è il primo passo indispensabile, ma MST continua la lotta per la Riforma Agraria Popolare, che si può vincere solo in alleanza con i cittadini. Dal 2019, contro la monocoltura e nell’ottica dell’agroecologia ha iniziato la campagna per piantare 100 milioni di alberi nei prossimi 10 anni. Durante questa pandemia MST si definisce in «isolamento sociale produttivo», produce alimenti sani e li distribuisce al popolo.

Anche in Italia le monocolture e gli allevamenti hanno trasformato il paesaggio agricolo, in particolare nella Pianura Padana, area in cui l’elevata incidenza di patologie dovute all’inquinamento ha peggiorato gli effetti del coronavirus.

Il contributo degli allevamenti industriali all’inquinamento atmosferico della Pianura Padana è ammesso anche dal rapporto di Arpa Lombardia sulle emissioni durante l’emergenza Covid-19: c’è un calo del PM 10 legato ai trasporti, ma non di quello legato al riscaldamento e agli allevamenti. Il metano, il gas della «transizione ecologica», produce più polveri sottili, PM 2,5, quindi più pericolose perché arrivano negli alveoli polmonari e nel sangue.

Importanti esperienze di «resistenza contadina» ci sono anche in Italia, collegate con le lotte della Via Campesina.

La più entusiasmante è «Mondeggi bene comune Fattoria senza Padroni», in 180 ettari di collina. Nel 2015 venne posta sotto «custodia popolare», era da sette anni in semi-abbandono. Oggi vi vivono e lavorano agroecologicamente 20 persone, producono olio, vino, ortaggi, cereali e pane, frutta, birra, con vendita diretta e partecipazione ai mercati locali.