Più che una trattativa è stato un gioco delle parti. I presidenti di regione hanno alzato la posta alla vigilia della conferenza stato-regioni, chiedendo che già lunedì prossimo potessero aprire regolarmente bar, ristoranti e tutti i negozi al dettaglio. Il governo ha fatto il passo che aveva annunciato, acconsentendo alle riaperture differenziate per territori dal 18 maggio. E tutti e due i contendenti di questa sfida, stato centrale a guida giallo-rossa e conferenza delle regioni controllata dal centrodestra, alla fine hanno detto di aver vinto.

LA LINEA della conferenza delle regioni «basta con i Dpcm, d’ora in poi decidano le ordinanze regionali» è stata messa nero su bianco dai «governatori» in un documento approvato all’unanimità. Che per la verità chiede un ultimo Dpcm, entro domenica 17, nel quale lo stato centrale dovrebbe fare il definitivo passo indietro «per consentire alle regioni di procedere autonomamente, sulla base delle valutazioni delle strutture tecniche e scientifiche dei rispettivi territori, a regolare le riaperture delle attività». Il ministro Boccia non ha detto sì, ma nemmeno del tutto no. Ci sarà una differenziazione regionale per le riaperture, ma sulla base dei dati che riceverà il comitato scientifico del ministero della salute. I parametri dettati da Speranza sono assai dettagliati, riguardano gli indici di trasmissione del virus (il famoso R0), la disponibilità dei posti in terapia intensiva, la presenza o meno di focolai regionali, la capacità di fare i test entro tre giorni dai sintomi e altro ancora. La cornice, ha detto il governo, la diamo noi. Nazionali sono le linee guida stabilite dall’Inail sul diverso grado di pericolosità delle attività economiche e i conseguenti protocolli di settore.

In sintesi: la valutazione su come sta andando l’epidemia nei territori – sulla base dei parametri oggettivi – il governo la rivendica per sé. E comincerà a farla proprio lunedì prossimo, la data nella quale le regioni avrebbero voluto un primo allentamento delle misure. Che non ci sarà. Perché le grandi fabbriche con migliaia di lavoratori sì e i piccoli negozi no? – hanno chiesto Toti, Zaia e Fedriga ieri a Boccia. E i presidenti di centrodestra non sono stati soli. Il presidente della Toscana Rossi si è rivolto direttamente a Conte con una lettera in cui «propone di valutare» la riapertura dei negozi di vicinato «con volumi inferiori ai 300 mq» già da lunedì. Boccia ieri ha detto che fino al 18 maggio nulla può cambiare, proprio perché la prossima settimana sarà dedicata ad analizzare i primi dati dalle regioni per decidere di conseguenza. Contenere la diffusione del virus richiede di risolvere problemi organizzativi non semplici per poter dare il via libera al servizio sul luogo di bar e i ristoranti (l’asporto è già consentito). E lo stesso si può dire per i barbieri e parrucchieri e per i negozi di abbigliamento (i capi vanno provati).

«È MERITO NOSTRO se il governo prenderà in esame anche la possibilità, confermata dal ministro, che dal 18 maggio vi sia una vera e propria ripartenza differenziata per territori», ha rivendicato il presidente leghista del Friuli Venezia Giulia Fedriga al termine della conferenza stato regioni. In realtà il governo è intenzionato a lasciare un margine di discrezionalità ai «governatori» ma ribadisce che a decidere tutto saranno i parametri. Non si esclude affatto che non solo di riaperture bisognerà parlare, ma anche di nuove chiusure differenziate per territorio. Intanto i «governatori» hanno chiesto che anche la ripresa delle attività sportive sia discussa con i rappresentanti regionali in un’altra «cabina di regia». Il governo è disponibile ma tenendo fuori il calcio dei professionisti. Contemporaneamente però la regione Lombardia ha fatto proprio ieri un’ordinanza per riaprire da oggi le attività di tutte le società sportive, purché le attività siano individuali e si svolgano all’aperto.

Nell’incontro di ieri, i presidenti di regione hanno anche chiesto al governo di essere «urgentemente» convocati per dire la loro sul nuovo decreto di faticosa gestazione. Non bastassero gli incontri e gli scontri nella maggioranza, i «governatori» voglio essere anche loro ammessi al tavolo dove si decide la destinazione dei 75 miliardi.