Bastano i primi minuti di Carlo!, il documentario che il regista Gianfranco Giagni e il critico Fabio Ferzetti hanno dedicato a Carlo Verdone, e che hanno presentato con grande successo al Festival di Roma lo scorso autunno, basta vedere quello che è forse il più amato e popolare tra i “nuovi comici” che vennero fuori alla fine degli anni ’70 accendersi una sigaretta una, due, tre volte, per capire quanto cinema, quanta Roma ci siano in quei gesti, in quelle espressioni.

Quanta grande bellezza, vera, di ricordi, incontri, passioni. Un percorso che va dalla Roma anni ’70 di Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Bernardo Bertolucci a quella dei teatrini off di Trastevere, della prima tv, del cinema di Sergio Leone e poi dei Cecchi Gori, dall’esordio di quelli che chiamavamo i “nuovi comici”, attori e registi che hanno cambiato il cinema in Italia, giù giù fino alle commedie agrodolci degli anni ’90, alla rilettura del mondo dei coatti romani e a una maturità di soggetti che ruotano attorno all’Italia di oggi, con tutti i suoi problemi e le tante speranze non realizzate.

Qualsiasi documentario si tenti di fare sui film e sul mondo messo in scena da Carlo Verdone, alla fine, deve fare i conti sia con un personaggio forte, popolare, generoso e molto amato, sia con un’Italia che ha saputo osservare e descrivere con un’attenzione del tutto particolare.

E questo lo ha fatto, a differenze di Alberto Sordi, che è naturalmente il suo maestro, non solo grazie ai tanti personaggi che ha interpretato in prima persona, ma anche ai tanti personaggi che ha saputo sviluppare inventandosi totalmente attori e caratteristi di culto, da Mario Brega alla Sora Lella, da Angelo Bernabucci a Fabio Traversa, o sapendo cogliere di altri attori, già affermati, aspetti o facce insospettate. Come Angelo Infanti, lo stesso Christian De Sica o, Marco Giallini, che in Posti in piedi in Paradiso esplode comicamente. Per non parlare delle sue attrici, che negli anni non solo ha saputo far crescere fra dramma e commedia, ma che ha comunque toccato con una magia talmente particolare che, in qualche modo, ancora si portano addosso. Penso a Claudia Gerini, Ornella Muti, Francesca Neri, Laura Morante, e tante altre. E’ raro, in un documentario su un regista, anzi in un documentario su un attore e regista, trovare tanto calore sincero da parte di tutti gli intervistati riguardo alla loro collaborazione.

“Carlo!”, soprattutto nella prima parte, più ricca e veloce, è una festa per i verdoniani di stretta osservanza, ma anche per tutti quelli che fanno cinema in Italia o che lo hanno vissuto senza snobismi, senza pesare cioè in un modo il cinema d’autore e in un altro il cinema comico o quella che un tempo si chiamava commedia all’italiana.

Un genere che Verdone ha sempre praticato seguendo la strada di Mario Monicelli e di Dino Risi. In mezzo a un totale, festoso revival e trionfo verdoniano, fra una “Grande bellezza” dove ha l’umiltà di recitare sottotono accanto a Toni Servillo, come se non si sentisse quella che è forse la star più amata d’Italia, ma un semplice attore che ha ancora tanto da imparare, e un bellissimo documentario su Alberto Sordi che ha girato assieme al fratello Luca e dove ci concede tre o quattro momenti magistrali di racconto e di commedia pura.

Questo “Carlo!”, uscito magicamente (fino a ieri nel ricuito The Space) con un successo di pubblico che potrebbe prolungarne la permanenza in sala – in home video in autunno, e poi programmato in Rai – è forse un oggetto di ancora più valore perché ci arriva preciso e sicuro come una delle sue tante battute storiche che tutti conosciamo a memoria. E che amiamo ripetere all’infinito. “Sono entrato in sala a vedere Borotalco e l’ho visto tre volte di fila”, mi ha detto Marco Giallini pochi giorni fa. E’ così. Ce devi sta.