Ci deve essere qualcosa di profondamente incompatibile fra Tomb Raider videogioco e gli adattamenti che ne sono stati fatti per il cinema. Come se la dimensione videoludica di un Indiana Jones al femminile faticasse a essere riconvertita al cinema dal quale pure proviene. Jan De Bont, uno che di action se ne intende, aveva fallito alle prese con una diva ingombrante e sceneggiature che sembravano canovacci per videogiochi appesantiti da psicologismi cosmetici.

Il reboot della franchise, dove al posto di Angelina Jolie troviamo Alicia Vikander, non lasciava sperare bene ma il risultato del film del norvegese Roar Uthaug è ben al di sotto delle aspettative. La ricerca di una presunta dea della morte giapponese, sepolta nelle viscere di un’isola quasi irraggiungibile, è il pretesto narrativo per permettere alla protagonista di esibirsi in spericolate acrobazie cui in fondo manca tutto: da un ritmo che permetta di sospendere l’incredulità a una struttura narrativa che non si riduca al solito giochino a incastri con frasi fatte sul valore della famiglia. E così, nonostante le scene d’azione si susseguano una dietro l’altra, il film trasmette una sensazione di noia statica, dando adito al sospetto che nemmeno al regista e ai suoi collaboratori in fondo importasse di questa nuova Lara Croft.