Dopo l’esordio negli spazi della Galleria Alessandro VII al Quirinale, Dall’antica alla nuova Via della Seta, con i suoi pregi e le sue difficoltà, è ora possibile vederla, fino al 2 luglio, nelle sale dello storico palazzo Mazzonis, sede del Museo d’Arte Orientale di Torino. La rinomata Via della Seta connetteva l’Europa con l’Oriente e probabilmente è stata l’arteria commerciale più importante al mondo. Il termine Seidenstraße fu coniato nel 1877 dal barone Ferdinand von Richthofen e divenne in seguito molto popolare nell’immaginario collettivo occidentale.
Questa mostra ha un progetto ambizioso: ripercorrere attraverso un’ottantina di reperti provenienti da alcuni dei più importanti musei d’Europa la storia dei rapporti e degli scambi culturali, religiosi e mercantili avvenuti tra Oriente e Occidente a partire dal terzo millennio a.C. Appare chiaro però che i curatori Louis Godart, David Gosset e Maurizio Scarpari abbiano voluto discostarsi dalla linea curatoriale caratteristica delle numerose mostre sull’argomento, dando un taglio più «italiano» a quest’esposizione. Traspare, infatti, la volontà di sottolineare il ruolo fondamentale che ha avuto il nostro paese, sin dall’Impero Romano, nella costruzione dei rapporti con l’Oriente e specialmente con la Cina (ci si domanda se non si tratti di un atto diplomatico più o meno velato). Tant’è vero che ben due sale sono dedicate a figure come Fra’ Mauro, Marco Polo, Pietro Vesconte, Battista Agnese etc. mediante mappe geografiche che spaziano dal XIV al XVIII secolo. Tra queste troviamo esposti il Testamento di Marco Polo e la Tabula Peutingeriana (copia seicentesca dell’originale del IV secolo). Vengono invece completamente ignorati gli esploratoti Sven Hedin, Aurel Stein o Paul Pelliot, che per primi si avventurarono, tra fine Ottocento e inizi Novecento, nell’allora dimenticata Via della Seta, e che furono parte attiva del Grande gioco anglo-russo in Asia Centrale, riportando alla luce i più importanti siti archeologici e tesori che oggi arricchiscono i nostri musei.
La mostra più che seguire un preciso rigore cronologico, è divisa in sei sezioni tematiche. La sala iniziale ospita manufatti di diverse epoche e aree geografiche che al primo sguardo non sembrerebbero essere collegati tra loro; probabilmente sono intesi a testimoniare il sincretismo artistico, religioso e culturale frutto degli scambi tra le popolazioni che percorrevano la Via ai suoi albori. Ciò che salta subito agli occhi è il forte interesse dei curatori per le statuette funerarie in terracotta raffiguranti musici o stranieri (sogdiani e battriani) di dinastia Tang (618-917), come il magnifico straniero dal volto velato.
Superate le sale delle mappe geografiche il visitatore raggiunge gli spazi dedicati alla Seta, merce di scambio prediletta tra Cina e Occidente. L’atmosfera non rimanda, come ci si aspetterebbe, alla sensualità del tessuto orientale bensì a una fredda sfilata di frammenti di stoffe provenienti per la maggior parte dall’Italia trecentesca ed esposti in teche di vetro. Fortunatamente, la meravigliosa fattura e la rarità del corredo vestiario di Benedetto XI (piviale, stola, dalmatica e calzari) segnano un punto a favore. Peccato però che i tessuti e gli accessori degli abiti cinesi o centro-asiatici scarseggino, riducendosi solo a due paia di scarpe e ai panni tartarici che compongono il suddetto corredo papale. Si ha l’impressione che la chiave di lettura dei patterns sia accessibile esclusivamente agli addetti ai lavori in quanto manca la possibilità di confrontare direttamente i tessuti originali cinesi e centro- asiatici con quelli esposti.
Procedendo come un pellegrino sulla Via della Seta, il visitatore si ritrova inaspettatamente nell’antica regione del Gandhara, circondato da numerose e raffinate statue di Buddha e bodhisattva appartenenti per la maggior parte alla collezione Tucci (MNAO, Roma), seguiti da reperti di origine zoroastriana e del cristianesimo nestoriano.
Dopo la sezione dedicata alle porcellane, dove viene nuovamente sottolineato il primato del Celeste Impero nelle innovazioni tecnico-artistiche, si raggiunge l’ultima sala dedicata a maestri cinesi contemporanei, che risulta, formalmente, la parte più debole dell’esposizione. Ogni opera rimanda all’antica Via della Seta senza suscitare particolare emozione. Il taglio propagandistico è evidente. Infatti, come indica il titolo della mostra, tramite questo viaggio nel passato si è voluto promuovere il progetto Yidai yilu («Una cintura, una strada») ideato dal Presidente cinese Xi Jinping, il quale, dal 2013, ha iniziato i lavori per ricostruire una «nuova Via della Seta» che collegherà la vecchia città di X’ian con Rotterdam, passando per ben 65 paesi. In questo modo il progetto coinvolgerà il 70 per cento della popolazione mondiale o meglio il 55 per cento del PIL e il 75 per cento delle riserve energetiche globali. Lo scopo dicono sia quello di favorire la cooperazione tra i paesi dell’Asia, dell’Europa e dell’Africa. Di fatto, quello che sappiamo è che permetterà al commercio cinese di crescere di almeno 2500 miliardi di dollari l’anno con un investimento pari a 4000 miliardi di dollari! Giusto per avere un’idea: i soldi impiegati dal Piano Marshall dopo la Seconda Guerra Mondiale attualmente corrisponderebbero a 130 miliardi di dollari.