L’approvazione in commissione giustizia, nella serata di mercoledì scorso, di un emendamento di due senatori del Movimento 5 Stelle contro il reato di clandestinità ha fatto scendere il gelo nelle stanze del quartier generale milanese della Casaleggio associati. Passa la nottata, e Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio affermano di dissentire da quel provvedimento «nel metodo e nel merito». «Questo emendamento è un invito agli emigranti dell’Africa e del Medio Oriente a imbarcarsi per l’Italia», scrivono il comico e il manager. Per finire con un classico luogo comune xenofobo: «Quanti clandestini siamo in grado di accogliere se un italiano su otto non ha i soldi per mangiare?».

È una storia lunga, quella delle posizioni para-leghiste di Beppe Grillo sui migranti. Per decrittarle bisogna svelare un retroscena. Nello scorso mese di febbraio, dal palco romano di una gremita piazza San Giovanni, prima che Beppe Grillo salisse sul palco per lanciare l’ultimo assalto alle urne, il giovane che si occupava di scaldare la folla si fece sfuggire una battuta calcistica su romanisti e laziali. Salvo poi correggersi: «Scusate, non dobbiamo dire nulla che ci possa dividere». È proprio questo lo schema principale della comunicazione grillina: non parlare di temi «divisivi». Come confermano quelli che hanno incontrato il cofondatore Gianroberto Casaleggio, la regola del «non divide et impera» viene continuamente ribadita da quelli dello «staff». Lette da questo punto di vista, le esternazioni con le quali Grillo e Casaleggio indicano la linea politica del Movimento 5 Stelle sono dei capolavori di ambiguità. Il «popolo» costruito da Grillo è uno, indivisibile, non esistono classi, blocchi sociali, parzialità, differenze, storie pregresse: sono tutti «italiani». Grillo non dice mai cose che potrebbero aprire conflitti interni al «popolo», serra la fila contro il Nemico di turno, cioè quasi sempre un’entità complottarda ed esterna alla «Gente»: la «Casta», «i Poteri Oscuri della Finanza», il «Vecchio Mondo».

Il gioco riesce quasi sempre. Il segreto è che nelle uscite grillesche ognuno ci vede quello che gli pare. Ma lo schema d’attacco non funziona quando si parla di migranti: ogni volta che tocca questo tema, il comico genovese urta la sensibilità della parte progressista del suo elettorato. Nella migliore tradizione delle destre più o meno postmoderne, i migranti della narrazione di Grillo sono un oscuro esercito industriale di riserva sottopagato che minaccia i salari degli italiani. Quando nel 2008 esplose la fantomatica «emergenza sicurezza» Grillo fu ben lieto di accodarsi all’ondata emotiva e di alzare la posta, parlando di un’inesistente «invasione» di extracomunitari e accreditando la relazione «più migranti, più illegalità». In un’altra occasione pensò bene di unire la lotta alla Casta alla difesa del sacro suolo: «Una volta, i confini della Patria erano sacri, i politici li hanno sconsacrati», disse. Per poi definire i cittadini rom «una bomba a tempo». E criticare chi utilizza lo Ius Soli come arma di distrazione di massa. Le metafore classiche e le formule linguistiche dei movimenti xenofobi ci sono tutte: Grillo descrive un paese le cui frontiere sono a rischio invasione per colpa della sinistra «buonista» che non è neppure di chiamare le cose con il proprio nome, visto che ormai, afferma Beppe en passant in un post dedicato al linguaggio «politically correct, «un immigrato clandestino è un rifugiato alla luce del sole».

Più di un grillino ha preso il capo alla lettera. Daniele Berti, candidato sindaco del M5S a Legnano nel 2012, si infilò in prescrizioni di carattere genetico: «I Rom non hanno alcuna intenzione di integrarsi: non è nel loro Dna». E quelli del Movimento di Pontedera si rifiutarono di solidarizzare con i bambini migranti vittime di un’azione squadristica di Forza Nuova contro il diritto di cittadinanza: «La questione dell’immigrazione e dell’integrazione è molto meno rosea di quello che si vuol fare apparire», dissero pur di non prendere posizione. Nel programma per le elezioni politiche del M5S di migranti non si parla neppure. All’indomani della strage di Lampedusa il blog di Grillo, di solito reattivo e pronto a sintonizzarsi con l’emotività generale scatenata dagli eventi, parla di tutto tranne che di migranti. Il capogruppo alla camera Alessio Villarosa, dal canto suo, confessa di non sapere cosa sia la legge Bossi-Fini. Poi l’emendamento estemporaneo dei senatori Andrea Buccarella e Maurizio Cioffi. Accolto dal governo, rigettato da Grillo e Casaleggio e criticato dal popolo grillino su Internet: «Non vi abbiamo mandato nei palazzi per difendere gli extracomunitari» è il mantra. Anni di parole del leader sull’immigrazione hanno lasciato traccia.