Sono oltre 100 i gruppi attivi nella Repubblica democratica del Congo. Secondo i dati pubblicati dal Congo Study Group nel 2019 sono circa «125 i gruppi armati che operano nelle sole regioni del Nord Kivu e del Sud Kivu, e tra questi circa la metà sono ancora attivi».

Il gruppo più conosciuto è senza dubbio quello delle Forze democratiche alleate (Adf), un gruppo armato vicino all’Islam salafita, nato a metà degli anni ’90 nel vicino Uganda per cercare di rovesciare il regime di Kampala. Sempre secondo il Csg «l’Adf ha da poco aderito alla logica terroristica sostenuta dallo Stato Islamico» e la RdC è diventata «terreno fertile per i gruppi jihadisti, a causa delle ricchezze minerarie, della povertà diffusa e delle numerose rivolte nelle regioni di Béni e Butembo in particolare».

Altro gruppo, responsabile secondo Kinshasa dell’uccisione dell’ambasciatore Attanasio, è quello delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr) formatosi nel 2000, che difende gli interessi degli hutu ruandesi presenti nella RdC.

Quanto ai Mai-Mai, rappresentano più di cinquanta gruppi e sono nati per combattere gli invasori ugandesi o ruandesi. La loro proliferazione è spiegata dalle rivalità attorno al traffico illecito di minerali, parte del quale attraversa il confine, in particolare verso il Ruanda. Oltre alle attività di queste milizie locali, ci sono quelle di altri gruppi armati stranieri che operano negli altopiani di Uvira, nella provincia del Sud Kivu, al confine con il Burundi come i Red-Tabara o i Forebu, alcuni dei quali sono supportati dal governo ruandese.

Dalla sua elezione, il presidente congolese Félix Tshisekedi ha lavorato per coordinare meglio l’azione militare contro questi gruppi armati con Ruanda e Uganda al fine di porre fine alla violenza che dura da decenni ed è alimentata da un’economia di guerra.

Tutti questi gruppi hanno in comune lo sfruttamento della popolazione civile e le ricche risorse minerarie, anche per questo motivo nel 2010 l’Onu ha attivato la missione Monusco, con oltre 16mila caschi blu inviati con l’obiettivo «di difendere i civili e consolidare la democrazia in Congo», anche se i risultati per una soluzione definitiva del conflitto sembrano lontani.