Napoli in campo con la maglia numero 10, un minuto di raccoglimento, mentre dall’esterno del San Paolo si alzavano a ripetizione i cori intonati in suo onore negli ultimi 30 anni. L’omaggio di Napoli per il suo re, con una rete di fiaccole e fumogeni che ha avvolto l’impianto di Fuorigrotta, la casa del re per sette anni. Immagini potenti ma pericolose visti gli assembramenti e la mancanza di mascherine. Assieme all’omaggio portato dal capitano del Napoli, Lorenzo Insigne, a una delle foto di Diego all’ingresso dello stadio, è l’epilogo di una giornata dal dolore intenso e feroce, della consapevolezza successiva alla rimozione: Diego è morto, Diego non c’è più.

E MENTRE l’arbitro di Napoli-Rijeka di Europa League fischiava il via, su ogni balcone delle case di Napoli e provincia è stata accesa una candela, con un applauso per il Diez. In precedenza, ore e ore di omaggi. Senza un attimo di pausa il pellegrinaggio laico verso i siti votivi in onore di Diego, dal murales ai Quartieri Spagnoli, alla cappella che custodisce anche uno dei suoi riccioli, incastrata tra i Decumani e anche allo stadio San Paolo. All’interno dell’impianto sin dal mattino, in attesa della partita di Europa League tra Napoli e Rijeka con i calciatori della squadra partenopea ovviamente con il lutto al braccio, sono state proiettate sui due maxischermi le immagini dei gol e delle migliori giocate di Maradona. Una cascata di pezzi di antiquariato del pallone che hanno accompagnato da bordo campo le due squadre anche durante la gara.

ALL’ESTERNO dell’impianto di Fuorigrotta, per sette anni la casa di Diego, si sono riuniti il tifo organizzato a un flusso di innamorati dell’argentino. C’è una fiaccolata. E c’è una targa, Stadio Diego Armando Maradona, siglata dalla curva B, sulla quale è disegnato il volto dell’argentino. Una sollecitazione esplicita alle autorità cittadine per intitolare l’impianto al Diez. Il viso dei tifosi è scavato. Un inchino, una preghiera, prove di distanziamento sociale e la mascherina e un oggetto di culto portato al cospetto delle foto del fenomeno argentino. Migliaia, un flusso interminabile che proseguirà per tutta la notte, mentre in Argentina andrà in scena il funerale di Diego.

SUI CELLULARI di molti tifosi c’è la diretta del tributo che gli argentini stanno rendendo a Maradona alla Casa Rosada per l’estremo saluto, tra fiori, maglie del Boca Juniors, della nazionale argentina. Tra i tifosi, anche Carlos Tevez e Martin Palermo, attaccanti della nazionale argentina, negli anni pazzi dell’esercito di accoliti alla corte del Diez, in lacrime di fronte al Mito. Che si sarebbe fatto anche una grassa risata vedendosi piazzato sul presepe nella via dei maestri presepiali, a San Gregorio Armeno, con la casacca numero 10 del Napoli del primo scudetto, con sponsor sul petto e la fascia di capitano.

Lui, l’ultima anima rock del pallone, talento, mistero e autodistruzione, genio maledetto come Baudelaire o Jim Morrison, che diventa un cherubino protettore della città. Lui e Napoli, incrocio spontaneo di cromosomi. «Un link, un colpo di fulmine. È stata l’indisciplina geniale dell’uno e dell’altra a farli incontrare e innamorare, per sempre». Oscar Nicolaus, psicologo all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli è uno degli storici fondatori del Te Diegum, associazione culturale che ha unito un manipolo di intellettuali dopo l’addio di Maradona al Napoli nel marzo del 1991 dopo la sua positività alla cocaina. «Eravamo presi dalla sua bellezza – spiega Nicolaus – , solo i moralisti pensano che l’arte sia per pochi, invece l’arte è ovunque. Da innamorati e addolorati per il distacco, avvertivamo la netta sensazione che una volta andato via Diego si sarebbero scatenati gli sciacalli, così è stato».

Prima, il comitato La Classe non è acqua presentato in un convegno alla presenza di Gianni Minà, poi arrivò l’idea di un libro, intitolato Te Diegum. «Maradona, come Napoli, è un ossimoro, crea genialità e si perde nelle situazioni complesse, si è poggiato sulla nostra doppia identità, araba e occidentale, che ci impedisce di governare le complessità», racconta il co-fondatore del Te Diegum, che spiega l’affinità tra Maradona e la città anche per la componente anarchica presente in entrambi, per la tendenza alla costruzione e osservazione di regole proprie: «Diego Maradona è divenuto re perché ha realizzato il sogno dei napoletani, essere anarchici vincenti. Come disse Eric Cantona, tra 20 anni il calcio sarà ancora Diego Maradona».