Non è stato un artista convenzionale, Eddie van Halen, scomparso a 65 anni martedì sera vittima di un male incurabile, ma un chitarrista capace di scardinare i canoni musicali conosciuti senza temere contaminazioni con altri stili: la collaborazione con Michael Jackson e l’assolo su Beat it ne è un fulgido esempio. Uno stile innovativo come la rimodulazione del tapping, ovvero il picchiettare con le mani direttamente sul manico della chitarra: prima di lui nessuno lo aveva fatto. Autodidatta: «Non so un cazzo di scale e di teoria musicale – confessò a Rolling Stone in un’intervista del 1980 – voglio solo suonare la mia chitarra per far sentire qualcosa alle persone. Felicità, tristezza o anche eccitazione». La sua morte ha scatenato un’onda di ricordi e tributi di amici e colleghi da una parte all’altra dell’oceano. Sui profili twitter e facebook lo hanno ricordato i due cantanti dei Van Halen: David Lee Roth – voce della band dal 1978 al 1984 – twitta una foto in bianco nero che li ritrae insieme e una nota a margine: «Che lungo e grande viaggio è stato…». Sammi Hagar posta una foto di lui e Eddie a bordo di un aereo e la scritta: «Sono senza parole e ho il cuore spezzato». Un elenco interminabile, fra gli altri Metallica, Pantera, Aerosmith, Lenny Kravitz, AC/DC e Paul Stanley, che lo aveva scoperto quando si esibiva nei club, mentre i brani della band hanno ripreso a scalare le classifiche. Dall’Italia lo ricorda Vasco Rossi: «Addio a Eddie van Halen, genio della chitarra elettrica, leggenda del rock. Il rock è una gran bella consolazione, è espressione di ribellione, insoddisfazione, è essere fuori dal coro, fuori gioco, emarginati, ma con una chitarra in mano. Il rock non avrà fine».