Non solo il dolore per quanto è avvenuto, ma anche la paura per ciò che potrebbe ancora provocare. A pochi giorni dall’attentato compiuto nel centro di Stoccolma da Rakhmat Akilov, un uzbeco di 39 anni seguace dello Stato Islamico che si è lanciato con un camion contro la folla uccidendo quattro persone e ferendone altre quindici, in Svezia sono in molti a temere un possibile effetto domino. Lo stesso premier socialdemocratico Stefan Löfven ha paventato in particolare la minaccia dell’estrema destra violenta che potrebbe colpire la comunità musulmana e i numerosi rifugiati mediorientali presenti in Svezia.

In un paese che vanta da decenni una scena neonazista molto attiva e un seguito crescente per le tesi anti-immigrati, come documentato dalla rivista Expo, fondata dallo scrittore e giornalista Stieg Larsson, solo tre settimane fa i servizi di sicurezza interna, la Säpo, avevano lanciato l’allarme parlando «della crescente minaccia rappresentata dall’estrema destra razzista» e indicato come fosse stato appena sventato un progetto di attentato contro un centro per rifugiati politici di Göteborg.

Nello stesso rapporto si poteva leggere come il rischio attentati, di matrice razzista come jihadista (si conta che siano circa 300 i foreign fighters che stanno facendo ritorno nel paese dopo aver combattuto con l’Isis in Siria e Irak), sarebbe stato più concreto con l’avvicinarsi delle elezioni politiche del prossimo anno, in vista delle quali l’antiterrorismo annunciava «misure straordinarie». L’attentato di Stoccolma ha fatto più in fretta.

Se la minaccia rappresentata dagli adepti dell’islamismo radicale è cospicua, anche i segnali che vengono dal circuito neonazista hanno destato crescente inquietudine negli ultimi anni.

Nell’ottobre del 2015, Anton Lundin-Pettersson, un 21enne simpatizzante della destra radicale, era entrato armato e con una maschera nera sul volto in un istituto scolastico di Trollhättan, non lontano da Göteborg, con l’intenzione di compiere una strage tra gli studenti di origine straniera che frequentano la scuola. Prima di essere colpito a morte dalle forze dell’ordine, era riuscito a uccidere uno studente e un insegnante e a ferirne gravemente altri due. Una violenza che aveva scioccato il paese, nella vicina Norvegia Anders Behring Breivik, un altro giovane bianco isolato e razzista, nel luglio del 2001 aveva ucciso oltre 70 persone tra Oslo e l’isola di Utøya, al punto che il premier Löfven aveva parlato di «un crimine dettato dall’odio razziale».

Negli ultimi due anni il numero di incendi di centri per rifugiati e di aggressioni contro richiedenti asilo e migranti si è poi moltiplicato, con un bilancio sempre più grave. Proprio nel luogo dell’attacco jihadista del 7 aprile, lo scorso anno alcune centinaia di neonazisti e di hooligan della squadre dell’Aik e del Djurgården si erano ad esempio lanciati in una violenta caccia all’uomo contro gli «stranieri», interrotta solo dall’intervento di poliziotti armati.

Un nucleo duro estremista, che si ispira al suprematismo bianco americano, lancia appelli online, dal sito Nordfront, ad attaccare i centri di accoglienza, «se è il solo modo di difendere la Svezia dall’invasione, diamo fuoco a tutto il paese», o evoca la «guerra razziale» come fa lo Svenska motståndsrörelsen, Movimento di resistenza svedese, fondato alla fine degli anni Novanta da alcuni ex appartenenti al gruppo terrorista Resistenza ariana bianca, già in carcere per rapine e omicidi.

Tutto ciò, senza contare che per la Svezia la vera sfida dell’estrema destra cresce in realtà anche, e soprattutto, nelle urne. Malgrado all’indomani dell’attentato le strade di Stoccolma si siano riempite di una folla che ha difeso le tradizioni di apertura e tolleranza della società scandinava, gli ultimi sondaggi indicano come gli Sverigedemokraterna, il partito anti-immigrati dei Democratici Svedesi, nato da una costola del neonazismo locale oltre 15 anni fa, abbia fatto un ulteriore balzo in avanti, fino a essere dato ora in testa nelle intenzioni di voto. Per costoro, quanto è accaduto sarebbe solo frutto della politica di accoglienza seguita dal governo e per fermare il terrorismo, sostengono, «basta chiudere le frontiere».