È iniziato a tambur battente questo mese di settembre a San Salvador per Nayib Bukele, il più giovane capo di stato dell’America Latina (con i suoi 40 anni appena compiuti) che ha imposto un’impressionante accelerazione nella concentrazione di poteri sulla propria persona.

IL PRIMO MAGGIO SCORSO, all’insediamento del nuovo parlamento, controllato per i due terzi dal suo partito Nuevas Ideas, aveva già operato d’autorità un golpe istituzionale sostituendo la Corte costituzionale con una a propria immagine e somiglianza. Per arrivare oggi con i suoi deputati a cancellare del tutto la separazione fra esecutivo, legislativo e giudiziario depurando la Procura generale della repubblica e mettendo forzatamente in pensione anticipata 690 giudici in attività (ultrasessantenni o con 30 anni di servizio, per un totale di un terzo dei magistrati).

Fra questi Jorge Guzman, che indagava sull’occultamento di documenti da parte dell’esercito (oggi strettamente legato a Bukele) nelle indagini sul massacro di un migliaio di civili nel Mozote durante il passato conflitto interno con la guerriglia.
Grazie a tale sudditanza il presidente “millennial” si è pure guadagnato in men che non si dica una (seppur prevedibile) nuova interpretazione della Costituzione che gli permetterà di ricandidarsi alla guida del paese nel 2024.

GIÀ NEL MESE DI GIUGNO Bukele aveva fatto disporre l’arresto arbitrario di diversi dirigenti della ex guerriglia del Fronte Farabundo Martì per presunta corruzione durante il primo loro governo. Fra essi colui che successivamente fu eletto presidente (il predecessore di Bukele), l’anziano Salvador Sanchez Ceren (ex comandante Lionel), infaustamente riparato in Nicaragua dove ha ottenuto la cittadinanza nicaraguense.

La gravità degli eventi ha indotto il relatore speciale dell’Onu, Diego García-Sayán (ex magistrato peruviano nella Corte interamericana di giustizia) a lanciare un monito alla comunità internazionale di fronte alla «cessazione dello stato di diritto in El Salvador». Praticata pure con la persecuzione alla libertà di stampa, dopo l’espulsione dal paese del messicano Daniel Lizarraga, editore di El Faro, un gruppo di giovani giornalisti salvadoregni indipendenti.

L’ACCUSA CONTRO LIZARRAGA è di avere recentemente documentato trattative fra Bukele e le maras, le bande giovanili che imperversano soprattutto nelle periferie delle città e che fanno del Salvador uno dei paesi più violenti al mondo.

 

Nayib Bukele parla ai suoi sostenitori davanti al Congresso con i vertici dell’esercito alle sue spalle (foto Ap)

 

Ma c’è un altro motivo per cui il minuscolo paese centroamericano è in questi giorni particolarmente in fibrillazione. Da martedì Nayib Bukele farà di El Salvador il primo paese al mondo a introdurre il bitcoin come “moneta” di corso legale. Cosa ciò significhi concretamente non è per niente chiaro agli oltre sei milioni di salvadoregni che, in caso dovessero munirsi del portafoglio elettronico Chivo (che vuol dire «ganzo») saranno beneficiati di un contributo statale di 30 dollari. È da precisare che da vent’anni nel Salvador, per volere della destra oligarchica al governo, il colon fu soppiantato come moneta in circolazione dal dollaro statunitense. E che il 20% del Pil è costituito tutt’oggi dalle rimesse familiari dei due milioni di emigrati negli States; sulle quali l’arrivo della criptomoneta (assicura il giovane presidente) farà risparmiare le commissioni. L’incertezza e il caos regnano ora sovrani, in un paese dove il 60/70% dell’economia è informale.

STA DI FATTO che dalla prossima settimana saranno in funzione i primi duecento sportelli automatici per convertire i dollari in bitcoin (e viceversa); ogni esercizio commerciale avrà l’obbligo di poter essere pagato nel volatile bitcoin. Così come ogni salvadoregno potrà convertire il proprio debito nella nuova moneta digitale. Il tutto possibilmente mediante la piattaforma Strike, che il “twittero” Najib Bukele ha lanciato recentemente in lingua inglese durante una sua visita a Miami.

BUKELE, DA TELEPREDICATORE quale è divenuto, ha recentemente invocato «che dio mi dia le forze». E punta sulle giovani disperate generazioni che lo hanno eletto. Ne ha proprio bisogno. C’è da augurarsi che almeno non frustri del tutto le loro aspettative…