Afferma il sociologo portoghese Boaventura Da Sousa Santos che uno dei paradossi del nostro tempo è che non si fa altro che parlare di crisi. Crisi economica, politica, sociale, ecologica: sembrerebbe che la crisi sia una realtà permanente. Come permanente è il dibattito su come affrontarla, se vi siano delle vie d’uscita e quali esse siano. Su questo ultimo punto si concentra in particolare il libro di Giuseppe De Marzo (Per amore della terra, Castelvecchi editore), economista e scrittore per anni a fianco dei movimenti sociali latinoamericani ed osservatore di un fenomeno sintomatico della crisi quale quello dei conflitti ambientali, ovvero le sempre più numerose lotte che sorgono in tutto il mondo in difesa di un territorio e delle sue risorse, minacciate da uno sfruttamento agiti nell’interesse di pochi. Processi di accaparramento delle risorse naturali in modalità che determinano progressive ingiustizie sociali e degrado ambientale e che con l’avvento della modernità, intesa come un cambiamento del rapporto fra uomo e natura, si sono intensificati.

Per questo la strada indicata da De Marzo parte da un ripensamento e una ridefinizione dell’idea stessa di Natura, nella sua relazione con l’uomo e quindi con la società, articolando ed approfondendo un concetto, quello della giustizia ambientale, che adduce la crisi legata alla sostenibilità al non aver considerato l’integrità della natura come funzionale anche all’uomo e che evidenzia la stretta relazione che sussiste fra la distruzione ambientale e le disuguaglianze.
La crisi in cui è immersa l’umanità oltre che strutturale e sistemica, è anche inedita perché pone il problema nuovo della minaccia alla salute dell’intero pianeta e che ricadendo in maniera diseguale sta già provocando il peggioramento e la distruzione delle condizioni materiali di vita di miliardi di persone. Una situazione che l’umanità nella sua storia non si è mai ritrovata ad affrontare e in relazione alla quale visioni, teorie, modelli economici e politici del secolo scorso non sono più adeguati.

È necessario un totale cambio di paradigma e i movimenti per la giustizia ambientale, di cui De Marzo esamina la nascita e la diffusione, lo stanno già praticando nel momento in cui affermano che diritti umani non possono esistere pienamente se non si riconoscono quelli che riguardano la natura.

Un punto di vista costruito su un passaggio tanto radicale quanto necessario come quello dall’«antropocentrismo» al «biocentrismo». La concezione antropocentrica del mondo è l’errore di cui ora stiamo pagando le conseguenze: considerare tutte le forma di vita non umane come assoggettabili e strumentalizzabili, ignorare le relazioni di forte interdipendenza che legano gli esseri umani alle altre specie e all’ambiente ha la spianato la strada alle modalità distruttive del capitalismo. Restituire a tutte le forme di vita il loro valore intrinseco, espandere la comunità della giustizia riconoscendo i diritti della Natura, garantendo l’integrità ecologica degli ecosistemi, di cui anche l’uomo è parte, non può che assicurare il buon vivere per tutte le persone.

Tutto ciò ha bisogno di un modello economico completamente diverso, che si deve adattare ai limiti del pianeta e non il contrario. Un modello sostenibile. Ma equità, giustizia, sostenibilità sono termini che stanno insieme? E cosa li tiene insieme? Esiste uno sviluppo sostenibile senza giustizia? Fra i tanti meriti del libro, quello di articolare il paradigma della giusta sostenibilità. Lo sviluppo sostenibile privato di qualsiasi elemento di giustizia è una formula vuota a servizio della governance liberista. Abbiamo bisogno di garantire equità e giustizia per le generazioni attuali e quelle future, riconoscere i diritti della natura e i limiti del pianeta. Per questo serve la costruzione di un movimento per la giustizia ambientale, sociale ed ecologica che in parte già esiste e si manifesta nei territori feriti attraverso il conflitto. Perché, come dice Marco Revelli nella postfazione, cio che «ci salva» si genera esattamente dove il male colpisce con più forza.

Per uscire alla crisi abbiamo bisogno di un pensiero lungo e rivoluzionario: la giustizia ambientale e i movimenti che la perseguono ne rappresentano un’articolazione fondamentale.