Ai negoziatori iraniani non piace essere manipolati. E così la delegazione che si trovava a Vienna per colloqui tecnici in vista della stesura dell’accordo definitivo sul nucleare iraniano, con i rappresentanti dei 5 paesi del Consiglio di sicurezza e la Germania, ha fatto subito ritorno a Tehran. Lo scorso giovedì, nonostante le promesse di Kerry, il Congresso degli Stati uniti ha approvato infatti un rafforzamento delle sanzioni all’Iran, inserendo nuove aziende nella lista nera di Washington (tra queste Mid Oil Asia, Singa Tankers e le manifatture Eycaz). Per questo, a meno di un mese dall’intesa temporanea di Ginevra, ancora non entrata in vigore, la crisi con Tehran potrebbe tornare nel vivo. La controversa decisione è arrivata dopo una riunione della commissione del Senato degli Stati uniti sulle sanzioni all’Iran in cui i senatori Wendy Sherman e David Cohen hanno avvertito dei rischi di un alleggerimento della pressione su Tehran. Lo stesso presidente Barack Obama si è detto scettico sulle possibilità che le autorità iraniane rinuncino completamente alle loro velleità nucleari. Tuttavia, il Segretario di Stato, John Kerry si è detto ottimista sull’avanzamento dei colloqui: «Ci aspettiamo che continuino nei prossimi giorni». Ma in Iran la reazione all’annuncio è stata durissima. «La mossa degli Usa è contraria allo spirito dell’accordo di Ginevra», nel quale i firmatari si impegnano a non adottare nuove sanzioni contro l’Iran (ma ad alleggerirle), ha detto il negoziatore iraniano Abbas Araghchi. «Esamineremo la situazione e avremo una reazione appropriata», ha aggiunto. Le nuove sanzioni «possono avere influenze negative sugli accordi di Ginevra», ha ammesso l’ultra conservatore Mohsen Rezaei. Anche il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, che aveva favorito l’intesa del 24 novembre) denuncia i rischi di nuove sanzioni. Per Catherine Ashton (Ue) i colloqui invece riprenderanno presto

A Tehran, il clima è teso. Il capo delle guardie rivoluzionarie, Mohammed Jafari ha criticato le ultime nomine del presidente Hassan Rohani. «Le procedure del sistema amministrativo non sono cambiate ma sono state leggermente modificate e infettate dalla dottrina occidentale», ha detto. Come se non bastasse, 16 attivisti e giornalisti (del sito internet Narenji) sono stati arrestati per attività «anti-governativa». Insomma, le aperture di Rohani ancora non sono una realtà.

Infine, l’attenzione torna sulle missioni «coperte» dell’intelligence Usa in Iran. L’agente dell’Fbi, Robert Levinson, scomparso nell’isola di Kish in Iran nel 2007, lavorava per la Cia svolgendo una missione non approvata. Le rivelazioni emergono da un’inchiesta dell’Ap, secondo cui la Cia avrebbe pagato 2,5 milioni di dollari per favorirne il rilascio.