Se «Lock her up», rinchiudetela, è stato lo slogan scandito dalla base di Trump ai comizi del 2016, la corsa presidenziale del 2020 potrebbe avere un omologo: «Send her back», rimandala indietro.

Una prova si è avuta durante il comizio del tycoon in North Carolina: la folla accorsa per vedere il candidato ha ripetuto più volte il nuovo mantra, indirizzato verso le quattro deputate invise a Trump e in special modo contro Ilmar Omar che con Alexandria Ocasio-Cortez, Ayanna Pressley e Rashida Tlaib forma quella che viene chiamata «the squad», la squadra.

Le deputate elette all’ultimo midterm sono tutte non caucasiche, rappresentano la sinistra più a sinistra alla Camera, super preparate, giovani, volitive e recentemente hanno procurato non pochi problemi all’amministrazione Trump riguardo la gestione dei migranti nei centri di detenzione al confine tra Stati uniti e Messico.

Trump aveva scritto su Twitter che se a loro non piacciono le politiche statunitensi, possono lasciare il Paese e tornarsene «a casa loro», veicolando il concetto razzista per cui solo i bianchi possono dirsi cittadini americani. In North Carolina The Donald ha ribadito il concetto e quando la sua base ha iniziato a scandire lo slogan non ha fatto nulla per fermarla.

Ilmar Omar è l’obiettivo principale: somalo-americana, in precedenza nella Camera del Minnesota dove ha scritto 266 leggi e progetti di legge nelle sessioni legislative del 2017-2018, supporter di Sanders, è una dei primi musulmani eletti al Congresso e la prima donna a indossare l’hijab alla Camera.

Trump e la sua base la odiano forse anche di più della socialista newyorchese Ocasio-Cortez e da mesi la destra Usa, da Fox news al presidente stesso, divulga una narrativa falsa e pericolosa su di lei, dicendo che è una nemica del popolo Usa e di Israele in quanto sostenitrice di Al Qaeda.

Questo tipo di affermazioni e di incitamento non è solo deplorevole ma pericoloso: «la squadra» riceve più minacce di morte di qualsiasi altro politico Usa, specialmente Omar e Ocasio-Cortez, al punto che Fbi e Cia hanno dovuto fare ai loro team dei training speciali per insegnare come riconoscere le minacce concrete e cosa fare in caso di attacchi. Una serie di regole da rispettare per salvaguardare la sicurezza delle deputate, come comunicare i loro appuntamenti pubblici e i luoghi dove si svolgeranno solo all’ultimo momento.

Quest’atmosfera carica d’odio è stata creata e alimentata da Trump in persona e non accenna a svanire, bensì coinvolge il partito repubblicano annichilito dalla presenza di un presidente originalmente alieno al partito e che ora ne sta dettando linea e codice etico.

A causa anche dell’incitamento alla violenza, le richieste di impeachment da parte dei democratici aumentano: dopo la pubblicazione del rapporto Mueller la Democratic Coalition ha lanciato una campagna per spingere i membri del Congresso a chiedere un’inchiesta, raccogliendo finora 87 adesioni.

A seguito dei tweet razzisti il deputato texano Al Green ha forzato le regole della Camera riguardo le domande di impeachment, la prima a essere presa in considerazione dal Congresso da quando i democratici hanno il controllo della Camera, arrivando a metterla al voto, in quella che è stata la sfida più diretta sulla gestione dell’impeachment per la presidentessa della Camera, Nancy Pelosi.

La domanda è stata facilmente affossata, ma la facilità sta solo nei numeri, non nella prassi in sé. Il voto, 332-95, ha diviso i democratici, con 95 dem (poco più del 40% del caucus democratico) che ha votato a favore mentre 137 si sono uniti a tutti i repubblicani nel votare contro.

La decisione di Green di presentare la risoluzione ha evidenziato il dilemma che attraversa il partito sull’opportunità o meno di aprire un processo che passerebbe alla Camera ma si infrangerebbe sul muro del Senato a maggioranza repubblicana.