Libera mente/corpo. Nel senso che è libera in tutta la persona di artista e nel senso che fa molto per liberare la mente e il corpo, l’assieme dell’essere nel mondo. Agisce per questo con i mezzi dell’arte. Della musica in particolare. Parecchio jazz e anche neoromantica con scivolamenti nell’atonalità novecentesca. Impetuosa e pensosa. Costruttivista e pronta a cogliere l’attimo. La Sylvie Courvoisier di D’Agala (Intakt/Ird) è un piacere dell’ascolto di quelli che non càpitano tutti i giorni. E un piacere dell’ammirare una sapienza musicale e del pensiero.

La magnifica pianista di cui stiamo parlando compirà cinquant’anni il 30 novembre 2018. È nata nel ’68 e quindi non può essere stata una sessantottina. In questo album in trio con grandissimi di nome Drew Gress (contrabbasso) e Kenny Wollesen (percussioni) diventa sessantottina ad honorem per via della vivezza innovatrice del suo lessico. Ma sessantottina non naïve: c’è tanto da riflettere sulle prospettive di liberazione che si erano affacciate e che non sono state percorse appieno. E Courvoisier riflette, non negandosi le ebbrezze barricadiere.

Svizzera di nascita e di stanza a New York da decenni, Courvoisier ha voluto fare un album di tutte dediche. A musicisti e artisti, compreso il padre Antoine che si dilettava di dixieland, swing, boogie e shuffle e a cui è dedicata la traccia iniziale, Imprint double. Gran pezzo divertentissimo. Nella prima parte, complici i due ritmi, si ascolta un omaggio ai modi shuffle raffinatissimo e impudico nella scansione. Poi c’è una parte centrale dove entra in scena la Courvoisier neoclassica e neoromantica, ma – attenzione – soprattutto neo ‘900 colto extra-avanguardia. Poi l’avanguardia tra il free e l’informale lei ce la mette. E poi torna al gioco «old jazz» iniziale. Sylvie frizzante, calda, complessa, diretta. Una goduria.

La title track, D’Agala, è dedicata a Geri Allen. Che bellezza! Prima un tema (non chiuso) lento, forse nostalgico, incline all’atonalità, doppiato in ottava dal contrabbasso, mentre Wollesen alle percussioni produce effetti rumoristici con continue polverizzazioni delle linee di suono. Più avanti la pianista esce in assolo nei modi classicamente jazz ed è distesa in un fraseggiare limpido che diventa man mano più «cerebrale» sulla via (maestra) dei Tristano e dei Bley.

Fly Whisk dedicata a Irène Schweizer e Éclats for Ornette (s’intende Coleman) sono un po’ simili. Jazz libero, improvvisazione tematica, razionalismo e impetuosità. Nel pezzo per Ornette la violenza sonora è fortissima. Curioso il brano dedicato a Louise Bourgeois, Bourgeois’s Spider. Ha l’aspetto di un poema pianistico-percussivo molto romantico e descrittivo. Ma il free non manca e nemmeno il gusto dell’avventura filosofica.