La tattica è quella già vista in Iraq: perso il territorio, archiviato il «sogno» di un califfato con confini definiti nel nord della Siria, di un’entità di natura statuale, l’Isis si frantuma in cellule, piccole, flessibili, invisibili. E poi attacca.

È successo di nuovo ieri, una serie di attentati suicidi devastanti hanno colpito il sud del paese, lasciandosi dietro almeno 215 morti, tra civili e poliziotti.

L’operazione, coordinata nei tempi , è partita ad As-Suwayda, città al confine meridionale con la Giordania, 120 km a sud di Damasco e meno di 50 km a est di Deraa, da poco ripresa dal governo siriano e teatro dell’ampia evacuazione dei gruppi islamisti di opposizione.

È qui, ad As-Suwayda, che il primo kamikaze si è fatto saltare in aria in un mercato, mentre guidava una motocicletta tra i passanti. La polizia è riuscita a uccidere altri due terroristi prima che potessero far esplodere gli ordigni che avevano addosso in zone residenziali della città.

Nelle stesse ore altri miliziani islamisti prendevano d’assalto almeno sette villaggi a nord-est della città, riuscendo ad occuparne tre. In volo si è alzata l’aviazione governativa che, riporta l’agenzia di Stato Sana, ha preso di mira i miliziani.

Nel pomeriggio il governatore di as-Suwayda, Amer al-Ashshi, ha parlato di ritorno alla normalità, mentre il direttore sanitario del distretto, Hassan Amro, rendeva noto di aver alzato il livello di allerta degli ospedali per poter gestire al meglio i feriti.

Una zona strategica e delicata: rimasta quasi del tutto fuori dalla guerra di questi ultimi sette anni, la provincia a maggioranza druza di As-Suwayda è sotto il controllo governativo, eccezion fatta per alcune aree desertiche nella parte settentrionale e orientale, dove le cellule del «califfato» riescono a muoversi con facilità.

Una situazione molto simile a quella irachena: è a ovest di Mosul che i miliziani sono fuggiti dopo la liberazione della città da parte governativa ed è dal confine, tuttora poroso, con la Siria che si sono ricongiunti alle cellule presenti nella provincia di Deir Ezzor, solo in parte ripresa da Damasco.

Ieri, ad Agenzia Nova, un rappresentante del consiglio provinciale di Ninive, Khalf Hadidi, riportava dello spostamento in corso di miliziani alla frontiera siro-irachena: «Testimoni oculari hanno riferito che 100-200 macchine si stanno spostando lungo il confine tra Siria e Iraq», ha detto aggiungendo che la provincia irachena ha chiesto «il rafforzamento delle procedure di sicurezza per scongiurare il ritorno dell’organizzazione terroristica».

Dall’altra parte della frontiera è a sud che il governo siriano si sta concentrando, dopo la vittoria registrata a Deraa, l’evacuazione dei gruppi jihadisti presenti e i mal di pancia provocati a Israele, la cui frontiera è a poche decine di chilometri.

Ma lì non ci sono solo milizie islamiste e salafite, o solo gli uomini del qaedista ex Fronte al-Nusra. Ci sono anche gruppi legati all’Isis, o direttamente o perché affiliati al «califfato». Secondo le stime, sarebbero almeno mille uomini, in questi giorni target dei bombardamenti siriani e russi.

La strategia cambia, la presenza resta. Sul modello iracheno, gli uomini di al-Baghdadi tentano la via di una nuova destabilizzazione interna, dopo aver fallito quella di creazione di un vero e proprio Stato. In Iraq i continui attentati, sia nelle zone prima occupate che nel sud e nell’est del paese, rendono ancora più difficile l’uscita dalla precaria situazione politica ed economica interna: nessuna sicurezza, scarsa fiducia dei cittadini nelle istituzioni, aumento dei settarismi interni. È la via che l’Isis potrebbe pensare di seguire anche in Siria, dove l’avanzata delle forze governative e dei suoi alleati sta riconsegnando quasi l’intero paese a Damasco.