Una causa giudiziaria pende sul capo del vicepresidente del governo spagnolo, Pablo Iglesias. Ma è un caso bizzarro, in cui il leader viola si trasforma da vittima di un ricatto della “fogne di stato” del partito popolare nell’accusato di ipotetici reati che potrebbero spingerlo alle dimissioni. O almeno questa è l’intenzione dei suoi avversari.

I fatti. A novembre del 2015, con il Pp al potere, qualcuno rubò il telefono della collaboratrice all’Europarlamento di Iglesias, leader di un partito che era passato dal nulla ad avere 5 eurodeputati. Il suo nome: Dina Bousselham, da cui il nome del caso, caso Dina. Nel telefono, immagini intime della proprietaria, schermate di conversazioni, documenti interni del partito, video… tutti materiali di cui conosciamo l’esistenza perché qualche manina li faceva arrivare a giornali amici proprio nei momenti in cui c’era il rischio che Podemos toccasse il potere (un pericolo che il Psoe finiva per scongiurare).

La scheda del telefono venne fatta avere, tempo dopo, a Iglesias dal direttore di uno dei giornali che decise di non pubblicarne il contenuto. Nel 2017 una copia di questa scheda venne trovata nel computer del commissario di polizia José Manuel Villarejo, il capo della macchina del fango organizzata da gruppi parapoliziali del ministero degli interni popolare. Un signore che aveva spie dappertutto e contatti con tutti, che registrava conversazioni in modo da usarle contro gli avversari politici di turno, dagli indipendentisti catalani a Podemos e fino agli avversari interni del partito guidato allora da Mariano Rajoy. «Rivelazioni» esclusive pubblicate puntualmente da qualche giornale connivente. Villarejo è in carcere in attesa di giudizio.

Il caso Dina nasce come stralcio del caso Villarejo: all’inizio il leader di Podemos era parte lesa. Ma alcuni magistrati stanno cercando di rigirare la frittata, accusando ora Iglesias di tre reati: rivelazioni di segreti, danni informatici e falsa denuncia. Come ben spiega Ignacio Escolar del eldiario.es, sono tre accuse completamente campate per aria: la prima perché per il codice spagnolo può muoverle solo l’eventuale vittima, e cioè Bousselham. Ma questa, nonostante il fatto che Iglesias tardò qualche mese a restituirle la scheda (per ragioni non del tutto chiare), ha spiegato ai magistrati che non ha nessuna intenzione di denunciarlo e ha aggiunto che la scheda era in buone condizioni quando la riebbe indietro (pertanto anche il secondo reato non sussiste, come certifica l’impresa di recupero dati a cui Bousselham portò la scheda quando smise di funzionare).

L’ultimo reato che il giudice attribuisce a Iglesias è ancora più difficile da spiegare. In sostanza, dice che Iglesias mente accusando il giornale che aveva pubblicato le informazioni della scheda perché sapeva che era invece stata Bousselham a mandarle. Ora, che Bousselham abbia inviato schermate a qualcuno è vero, ma non si sa a chi. In ogni caso, per accusare Iglesias di falsa testimonianza bisognerebbe avere le prove, che il giudice però non esibisce.

La cosa più bizzarra di tutte è che non solo la parte lesa, Bousselham, non si considera lesa, ma persino l’accusa è contraria alla tesi del giudice istruttore Manuel García Castellón, vicino al Pp. E persino la Sala penale dell’Audiencia Nacional, l’istanza superiore, ha emesso un atto in cui imponeva a Castellón di restituire lo status di parte lesa a Iglesias stabilendo che le ricostruzioni del giudice erano “mere ipotesi” senza prove.

Ma non si tratta di una bizzarria. Il Pp impedisce che venga rinnovato il Csm spagnolo, che è incaricato di nominare i giudici chiave di tutte le istanze. Quindi una maggioranza di magistrati nominati dalla destra il cui mandato è scaduto da 22 mesi continua a riempire i tribunali di giudici affini. Il governo è ormai deciso a forzare la mano con una riforma che gli permetta di sbloccare la situazione, ma nel frattempo non è impossibile che il tribunale supremo, pieno di giudici politicizzati, come quello che ha condannato i politici catalani indipendentisti a delitti sproporzionati, possa accettare le accuse strampalate del giudice istruttore e aprire un giudizio. Contro il governo rossoviola ogni arma giudiziale sembra lecita.