È un passaggio delicato quello che attende oggi il Kosovo, al voto anticipato per la quinta volta dalla proclamazione unilaterale d’indipendenza dalla Serbia del 2008. Un voto destinato a rafforzare l’esito delle elezioni dell’ottobre 2019, vinte dal leader della formazione di «sinistra nazionalista» – come lui la definisce – , Albin Kurti, e ad incidere sulla nomina del futuro presidente della Repubblica che andrà a sostituire Hashim Thaqi (nome di battaglia, il Serpente), dimessosi nel novembre scorso, poco prima di essere arrestato e processato all’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità.

Le ultime elezioni e l’incriminazione di Thaqi e di altri ex guerriglieri dell’Esercito di Liberazione Nazionale (Uck) hanno segnato un vero e proprio spartiacque nella storia del Kosovo indipendente.

Le prime avevano sancito il passaggio all’opposizione del partito di Thaqi, il Pdk, rimasto ininterrottamente al potere dall’indipendenza del Kosovo, e la vittoria di due candidati, Kurti e la giovane Vjosa Osmani, simboli di una nuova generazione di politici che nulla a che fare con l’Uck e che pur non rinnegando quella stagione, mira a «liberare» il Kosovo dal sistema di corruzione e nepotismo che attanaglia il Paese.

L’uscita di scena del Serpente ha aperto una fase di forte instabilità politica in Kosovo, già indebolito da quattro anni di sostanziale disimpegno degli Stati Uniti nell’area e da un attivismo crescente della Serbia che con spregiudicatezza sfrutta le mire di Washington, Mosca, Pechino e Bruxelles, a proprio vantaggio.

Una partita nella partita, quindi. A contendersi lo scranno presidenziale sono sostanzialmente due forze, da una parte il ticket Kurti-Osmani, in cerca oggi di un plebiscito che consegni loro le chiavi del Paese, dall’altra Ramush Haradinaj, ex premier ed ex guerrigliere dell’Uck, esponente di quella vecchia guardia che ha “catturato” il Kosovo e che non ha alcuna intenzione di cedere quote di potere.

Nonostante i numeri siano a favore di Vetevendosje, Rambo, nome di battaglia di Haradinaj, non è fuori dai giochi, al contrario. Diversi sondaggi assegnano la vittoria a Vetevendosje con un largo vantaggio sugli altri partiti. La creatura di Kurti è data tra il 44 e il 51%, mentre il Pdk e la Lega Democratica del Kosovo (Ldk) che si contendono il secondo posto, oscillano tra il 15 e il 21%.

L’Alleanza per il futuro (Aak) di Haradinaj si attesta invece intorno al 7%, un risultato che se confermato, potrebbe risultare decisivo qualora Kurti e Osmani non centrassero l’obiettivo della maggioranza assoluta.

Inoltre, dei 120 seggi del parlamento, 20 sono assegnati alle minoranze etniche e in particolare a quella serba che elegge 10 deputati. Qui non c’è partita: la lista serba, emanazione di Belgrado, dovrebbe aggiudicarsi tutti i seggi assegnati alla comunità.

Che il voto sia particolarmente delicato lo testimoniano diversi passaggi della tormentata campagna elettorale che ha preceduto il voto. In primo luogo, la controversa decisione della Commissione elettorale, confermata in seguito dalla Corte Suprema, di escludere il vincitore annunciato delle elezioni, Kurti, dalla corsa elettorale a causa di una sentenza che lo ha condannato meno di tre anni fa per aver lanciato dei lacrimogeni in Parlamento.

Momenti di tensione poi si sono registrati durante la visita a Skenderaj, nella Valle della Drenica, bastione elettorale del Pdk, di Kurti e Osmani, aspramente contestati dai sostenitori di Thaqi che inneggiavano al Serpente e all’Uck. Sul voto, infine, aleggia l’ombra di brogli elettorali, come lascia intendere un numero inusitatamente alto di voti per corrispondenza. La partita è ancora tutta da giocare.