Da sempre la politica si è trovata ad avere rapporti profondi, quasi inestricabili con la violenza. Basti pensare alla fondazione mitica delle città, spesso caratterizzata dal versamento di sangue, come nel caso di Roma, con l’uccisione di Remo da parte del fratello Romolo. O, per rimanere nel campo del mito al sacrificio di Ifigenia, immolata dal padre Agamennone prima della spedizione a Troia.

DA MACHIAVELLI A HOBBES, fino ai più moderni teorici della politica, chiunque abbia inteso occuparsi di scienza politica ha dovuto comunque fare i conti con la categoria della violenza. Così come è sotto gli occhi di tutti come i cambiamenti più significativi e profondi della storia umana siano stati caratterizzati anche dall’azione di quella che non a caso è stata definita «levatrice della storia». Tanti, dunque, si sono occupati del ruolo che tale forza distruttrice ha rivestito nel corso delle vicende umane. Anche perché «l’analisi della violenza (…) può spiegare come il potere si forma e viene distribuito in una società, e come tale distribuzione può essere alterata».

Ed è proprio questo lo scopo, esplicitamente dichiarato fin dalla prima pagina di Violenza politica. Visioni e immaginari di Vincenzo Ruggiero (DeriveApprodi, pp. 236, euro 18). Spaziando tra critica del diritto, filosofia, sociologia, scienze politiche Ruggiero, professore alla Middlesex University di Londra, intraprende un viaggio tra le diverse forme e i diversi contesti in cui si sviluppa e trova spazio la violenza politica. Abbiamo quindi una scansione dei capitoli che segnala chiaramente le tappe di questo percorso. Si va così dalla violenza sistemica a quella istituzionale, per poi soffermarsi, tra gli altri temi, su «Folla e violenza di gruppo», «Lotta armata e guerra civile», «Belligeranza e violenza sessuale» e, infine, «Violenza e cambiamento sociale».

PUR POTENDO APPARIRE come una sorta di compendio sulle varie forme di violenza politica, in realtà il libro rappresenta un’analisi davvero raffinata e profonda sull’argomento, in grado di far emergere anche aspetti e punti di vista poco usuali eppure illuminanti. Assolutamente condivisibile, poi, e anche questo poco consueto, l’utilizzo di opere letterarie per analizzare e mettere in evidenza aspetti dell’argomento trattato. Avviene così che Guerra e pace di Tolstoj e La Certosa di Parma di Stendhal, piuttosto che Avere e non avere di Hemingway, così come un racconto di Borges piuttosto che le opere del marchese De Sade diventino strumenti essenziali per capire a fondo i concetti espressi, funzionando in pratica allo stesso modo di rimandi a teorie sociali e filosofiche ma con la plasticità e l’immediatezza tipiche dei capolavori della letteratura e dell’arte.

Grazie anche a questo accorgimento – che riveste un valore sostanziale e non semplicemente formale – il discorso si sviluppa in modo chiaro e conseguente, ma allo stesso tempo vivace e coinvolgente, caratterizzato inoltre da una scrittura scorrevole e una struttura efficace. Certo non tutte le argomentazioni e le analisi espresse possono essere sempre e comunque assolutamente condivisibili, tutte però presentano il grande pregio di stimolare la riflessione.

NELLE CONCLUSIONI emerge con forza il valore che l’autore assegna ai movimenti sociali e alle forme di democrazia deliberativa, in quanto cardini di un modello che «non prevede l’esistenza di nemici, ma di avversari, persone le cui idee si possono combattere, ma il cui diritto a difenderle viene loro riconosciuto» e «ritiene che il conflitto sia un tratto permanente dei sistemi sociali e incoraggia la mobilitazione costante, in un processo sempre incompiuto che può condurre alla tolleranza e all’equità».