Oggi per la seconda volta i leader della coalizione virtuale, il centrodestra insomma, si troveranno per la seconda volta in un mese sullo stesso palco. A Cagliari, per una conferenza stampa congiunta in vista delle regionali. Ieri il Cavaliere ha incontrato i suoi parlamentari al Senato e dopo l’abituale show ha dato appuntamento a tutti per mercoledì prossimo, per fare il punto sulle elezioni europee. Qualcosina in materia però Berlusconi la ha detta già ieri: «Mi candido ovunque tranne che al centro, dove c’è Tajani». Il quale, ha aggiunto, mira a un secondo mandato come presidente del Parlamento.

La sfida del partito azzurro è tanto semplice quanto difficile: mira a stanare Salvini costringendolo a scegliere tra le due alleanze di cui è elemento centrale. Lo fa in Italia, accelerando il voto sulle mozioni Tav che costringerà la maggioranza a miracoli di equilibrismo per non dire niente e nel nord, soprattutto nel Piemonte dove si voterà insieme alle europee, la reticenza rischia di costare cara al capo leghista. Lo fa in Europa, con l’obiettivo dichiarato di convincere-costringere il quasi alleato a un blocco tra Ppe e gruppo sovranista. Inutile specificare che quell’alleanza a Strasburgo porrebbe una grossa ipoteca sul quadro interno.

Salvini svicola. Non solo perché ritiene che mantenere l’alleanza con i 5S sia il modo migliore per moltiplicare ulteriormente i consensi, ma anche perché lui stesso deve muoversi al buio, senza elementi sufficientemente chiari per scegliere una strategia di lungo periodo. La vera incognita, infatti, non è la Lega come non è Fi: è M5S, ex movimento oggi sprofondato in una crisi d’identità di cui lo psicodramma del voto sull’immunità del vicepremier leghista è stato solo un sintomo particolarmente vistoso.
Ieri i 5S hanno smentito con i dovuti decibel la possibilità, alla quale aveva accennato il leghista Borghi, di entrare con la Lega nello stesso gruppo parlamentare «eurocritico» a Strasburgo. «M5S – recita un post sul blog – farà parte di un nuovo gruppo fondato sui valori della democrazia diretta. Non esiste e non è mai stata presa in considerazione l’idea di entrare nel gruppo della Lega e Le Pen». Salvini si associa: «Nessun gruppo unico. Abbiamo già i nostri alleati a livello internazionale».

Tutto chiaro? Non proprio. Prima delle elezioni i 5S non potrebbero in alcun modo mostrarsi interessati a un gruppo unico e Salvini non ha interesse a far salire la febbre già alta tra i soci di governo. Dopo il voto le cose potrebbero cambiare: in fondo è già successo proprio a proposito dell’alleanza con la Lega, esclusa tassativamente prima delle elezioni politiche. Il «nuovo eurogruppo» di cui parlano i 5S, infatti, è più vicino a un miraggio che a una imminente realtà. Per arrivare al quorum di 7 paesi, necessario per formare un gruppo, mancano infatti ancora due Paesi europei, ma anche tra quelli con cui l’alleanza è già stata stretta solo la Croazia sembra in grado di inviare a Strasburgo un paio di europarlamentari. Smarriti e senza un gruppo, i 5S potrebbero essere attratti dal gruppone «eurocritico» o sovranista che dir si voglia.

E’ una scelta che dipenderà dagli equilibri che si definiranno di qui all’estate in Italia. Tra i 5S si fronteggiano due opzioni antitetiche. Da una parte quella di chi vuole mantenere intatta la natura originaria del Movimento e considera ancora l’alleanza con la Lega come transitoria. Dall’altra quella di chi tira a fare di M5S un vero partito – come ha quasi ammesso Di Maio specificando che inaccettabile è solo la parola «partito», non la sostanza – e soprattutto a trasformare il contratto con Salvini in un’alleanza stabile.
E’ una divisione che regna non solo sulla scena ma quasi certamente anche in cabina di regia. Il Grillo che da giorni riserva a Salvini battute una più pesante dell’altra e che ieri ha chiesto di «essere noi a influenzare Salvini sui nostri temi» è vicino ai movimentisti. Ma alla guida del fronte governista non c’è Di Maio: c’è l’erede del guru venerato ovunque tra i 5S, David Casaleggio.