Per il suo quarantesimo anniversario il Rossini Opera Festival di Pesaro ci propone un viaggio ineffabile nelle pieghe di «quel cantar che nell’anima si sente» perfezionato dal compositore in appena vent’anni di intensissima carriera teatrale. Un viaggio a ritroso, che parte con la 34esima opera di Rossini, tragica, Semiramide (Venezia, 1823), per poi balzare deciso al suo primo cimento, serio, Demetrio e Polibio (Roma, 1812), e infine concludersi con il terzo, giocoso, L’equivoco stravagante (Bologna, 1811), restituendoci tutta l’escursione del genio dalla scoperta di sé e della propria gamma di colori alla piena maturità.

«SEMIRAMIDE» celebra e allo stesso tempo sigilla un’epoca, glorificazione tomografica di un modello drammaturgico sul punto di scomparire: tutto, dalle arie quadripartite ai duetti simmetrici ai cori alla greca, anatomizza il gusto neoclassico mentre sta per essere scalzato da quello romantico, con un’inventiva melodica, una raffinatezza armonica e una dilatazione delle durate che lasciano intravvedere il sorriso di rivincita dell’autore intento a sceneggiare il suo congedo.

Michele Mariotti dirige l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai con una sicurezza e un’intensità a tratti abbacinanti, regalando al pubblico per la prima volta la versione integrale dell’opera come ricostruita nell’edizione critica di Philip Gossett e Alberto Zedda. Una vera trance musicale di oltre quattro ore, resa possibile da un cast eccellente, su cui spiccano le voci ricche nel timbro e generose nel fraseggio delle incestuose Salome Jicia (Semiramide) e Varduhi Abrahamyan (Arsace). Il nuovo allestimento di Graham Vick, contestato più di quanto meritasse, sottrae il testo all’esotismo manierato della tradizione e lo traduce in un astratto romanzo di formazione.

«DEMETRIO E POLIBIO», impresa di un Rossini adolescente stregato dal genio mozartiano, mostra un’inventiva fuori dal comune, zavorrata da un libretto sgangheratamente convenzionale. Paolo Arrivabeni dirige la Filarmonica Gioachino Rossini con destrezza, senza mai calcare la mano, assecondato da un cast giovane, fresco ed entusiasta, su cui spicca la voce di Jessica Pratt (Lisinga), funambolica come sempre, al netto di qualche incrinatura. Bravo anche Riccardo Fassi (Polibio). L’allestimento è quello delizioso del 2010 di Davide Livermore: una sorta di carillon scenico che restituisce i personaggi alla loro natura speculare, fantasmatica e molteplice, risolvendo l’inverosimiglianza in gioco rapinoso.

Si termina con lo spudorato e divertentissimo L’equivoco stravagante, un Barbiere in sedicesimo con il proverbiale crescendo in via di definizione, che Carlo Rizzi dirige con equilibrio, senza cercare soluzioni innovative, coadiuvato anche lui da un cast generoso, nel quale spiccano le voci e le interpretazioni di Paolo Bordogna e Davide Luciano, trascinanti come sempre. Nel nuovo allestimento le scenografie tessili di Christian Fenouillat interagiscono brillantemente con i costumi caricaturali di Agostino Cavalca e con la regia goliardica di Moshe Leiser e Patrice Caurier.