«I’m italian documentarist»: è la voce di Mario Balsamo che al telefono tenta più e più volte di raggiungere Sean Connery in una delle sue varie residenze – Bahamas, Scozia, Svizzera – Lui avrebbe voluto essere, ma non è, James Bond, anzi We’re nothing like James Bond come dice il titolo del suo film firmato con Guido Gabrielli, l’editore, l’amico di gioventù. Come a restare ancora uniti quando la vita a una certa età divide, è arrivata per entrambi la cupa malattia. In questo strabiliante lavoro, che ti costringe a spalancare gli occhi, i frammenti di tempo diventano palpabili, non solo vissuti, ma materia di cinema.

I due uomini e un armadio -un peso comunque insostenibile da portare – sono davanti al mare. E appare per un attimo come evocato, Marco Ferreri scomparso nel ricordo dei più, spiaggia primigenia, post apocalittica. In ogni caso luogo dell’animo da abitare come si deve, in smocking per questa festa che è la vita. Smoking come quello indossato da Bond, qualcuno che non morirà mai. E come un colossal di avventure, la storia si sviluppa attraverso sorprese continue – come la vita del resto – un pranzo con l’amica Daniela Bianchi (Dalla Russia con amore) che svela qualche piccolo cedimento del Connery trentenne (bellissimo, ma dice, portava il parrucchino e si truccava) e consegna i preziosi contatti. I ricordi dei viaggi fatti da adolescenti, un mese su fino a Edimburgo, Inverness rievocati per intraprendere questo nuovo viaggio, un film da fare insieme.

«Abbiamo deciso di andare a trovare James Bond, dicono, perché ha rappresentato il prototipo di quello che dovrebbe essere il mondo e alla fine si è rivelato che non è così». La presenza delle malattie che viaggiano anche loro nei corpi, è l’avventura più drammatica a cui si contrappone il bene, l’amicizia, il gioco, la scoperta, l’affetto – mai Balsamo ha parlato in casa del suo male e la madre che non sa dispone per lui sul tavolo le carte del suo destino. Fortuna, denaro, incontri. Hanno il sapore delle scoperte i giochi sulla spiaggia con i sassi, le corse (se si priesce a correre è una conquista) i balli nel locale, suonare la chitarra come si è messo a fare Gabrielli a un livello superiore, niente giro in do, fino a una fantascientifica, metafisica scena con sacco a pelo a chiusura totale.
Perfino il litigio tra Balsamo e Gabrielli che sembra non si possa più comporre, a causa di una scena da tagliare fa parte di questa avventurosa vicenda, scontro su vita e cinema e loro posto in classifica, per Balsamo cinema al primo posto, per Gabrielli il secondo perché vince la vita: «Questo film, dice Gabrielli, nato per colmare un vuoto, poi è diventato diverso, perché tu confondi la vita con il film. La realtà è molto più bella» «Sì?!», tu dici? commenta con un tono che non lascia dubbi Balsamo.

I suoi documentari hanno spaziato da i cieli di Baghdad, alla preparazione del G8 di Genova (tra i firmatari di Un altro mondo è possibile), alla gente di Seattle (Il Villaggio dei disobbedienti), la Piana degli albanesi (Storie Arbereshe), le sfide di un bambino albanese arrivato in Italia su un gommone (Sognavo le nuvole colorate), e con la stessa intensità anche la sua città di origine, Latina, disastrato luogo da cui proviene un altro documentarista con cui ha lavorato, Gianfranco Pannone. Sembra di tensione diversa questo lavoro apprezzato ovunque, una tematica ancora più rivoluzionaria. Rispetto alle peripezie di un documentarista italiano le vicende dell’agente segreto fanno ridere, la vita sempre a rischio, in bilico. Come Bond anche loro ce l’hanno fatta, pronti per un altro viaggio e un’altra avventura. E proprio nel finale irrompe infine l’autentica voce di Bond-Connery finalmente raggiunto al telefono giusto che però, dice, è molto preso al momento e riattacca senza convenevoli. Un film mai patetico, sempre profondo, assai ironico, dal ritmo che ricorda le onde del mare, inarrestabili e che sempre ci accarezzano.