Gioco di luci, fondali rosso sangue, immagini fisse, luce incidente, split screen ed un linguaggio cinematografico di inquadrature e di montaggio che mai si erano viste prima nell’animazione seriale, sono parte di quella rivoluzione estetica portata avanti durante tutta la carriera da Osamu Dezaki, uno dei nomi più importanti dell’animazione nipponica. Uscito nelle librerie lo scorso 6 giugno a firma di Mario A. Rumor, Osamu Dezaki. Il richiamo del vento (edizioni Weird Book) è il primo volume italiano, e forse anche in Occidente, dedicato ad uno degli autori che, come si diceva, più hanno lasciato il segno e contribuito allo sviluppo dell’animazione seriale, e non solo, dell’arcipelago.

Ripercorrere la carriera di Dezaki significa (ri)scoprire e rivisitare gli ultimi cinquant’anni dell’animazione del Sol Levante, da quel fulcro creativo che è stato lo studio Mushi Production, fondato da Osamu Tezuka nel 1962 e dove Dezaki debutta l’anno sucessivo come disegnatore, alla Madhouse nei primi anni settanta, fino alla Tokyo Movie Shinsa, studio con cui realizza alcuni dei suoi più importanti lavori come Jenny la tennista, Lady Oscar e Remi.

Il libro di Rumor ci accompagna attraverso l’avventura artistica di Osamu Dezaki fornendo un interessante quadro dell’epoca, fra fallimenti e sfide continue in un Giappone che cambia assieme al pubblico dei cartoni animati e ai suoi gusti. Un’avventura quella di Dezaki che specialmente fra gli anni settanta e ottanta ha davvero saputo rinnovare e spingere l’animazione seriale verso altri territori come mai era stato fatto prima.

Il debutto come regista per l’autore giapponese avviene col botto, nel 1970 infatti arriva nelle televisioni giapponesi Ashita no Jo, che sugli schermi italiani debutterà dopo un decennio come Rocky Joe, una serie animata ancora oggi leggendaria. L’innovazione stilistica e di toni con cui Dezaki traspone sul piccolo schermo il manga di Tetsuya Chiba fu un vero e proprio fenomeno di costume nel Sol Levante, la sua passione ed inclinazione cinematografica e quasi autoriale lo porterà infatti ad inventare uno stile assai riconoscibile, almeno nelle sue opere più celebri.

Ecco allora che anche Jenny la tennista nel 1973 e quel capolavoro che è Lady Oscar sette anni dopo, dove subentra come regista Tadao Nagahama con l’episodio 19, rispetto ai manga da cui sono tratti, diventano animazioni molto più cupe, con un senso del tragico e con una complessità dei personaggi che raramente si erano viste prima. Dezaki è anche autore di uno degli anime che più hanno fatto piangere il pubblico italiano, Remì e le sue avventure del 1977.
Arrivato su Rai 1 due anni dopo la storia del giovane ragazzo e della ricerca della sua vera madre è davvero uno dei più toccanti racconti per immagini che siano mai stati trasmessi in televisione.

Nel biennio 1982-83 escono nelle sale dell’arcipelago due lungometraggi a firma Dezaki, Space Adventure Cobra e Golgo 13. Entrambi tratti da manga di successo questi film segnano un ulteriore passo avanti per Dezaki e la sua poetica, dal punto di vista stilistico l’autore si sbizzarrisce, specialmente in Golgo 13 dove split screen, fermi immagine, spruzzi di colore, sesso, violenza ed un espressionismo quasi astratto sono cornice e contenuto di un film popolato di personaggi tragici e solitari come in un film di Melville.
Il volume è davvero un’interessante cavalcata nel mondo dell’animazione giapponese, Dezaki è morto nel 2011 ed è stato attivo fino alla fine, Black Jack e la versione animata del Genji Monogatari due delle sue opere tarde degne di menzione, ed è completato da una serie di interviste e da una esaustiva filmografia.
matteo.boscarol@gmail.com