Il premier iracheno al-Abadi si gode una vittoria dall’enorme peso politico e militare: ieri ha fatto il suo ingresso trionfante a Ramadi, capoluogo dell’Anbar liberato dalla morsa dello Stato Islamico. È volato in elicottero nella città per incontrare i generali che hanno guidato la riconquista. Una visita sul campo necessaria a tenere accesso l’entusiasmo dell’esercito e delle unità volontarie sunnite, protagoniste per la prima volta della controffensiva militare.

Ma la visita – aperta da un lancio di missili sopra il convoglio del premier e da un’autobomba esplosa contro un checkpoint militare, a ricordare che l’Isis è ancora vicino – è necessaria anche al proseguimento dell’operazione: Ramadi va ripulita dalle ultime sacche di islamisti ancora presenti nei quartieri orientali e dalle centinaia di ordigni, sinistro lascito dello Stato Islamico. Le operazioni di messa in sicurezza sono già partite: le truppe sono impegnate in queste ore ad individuare e rimuovere bombe e mine da strade ed edifici.

La città va poi ricostruita, liberata dalle macerie fisiche e psicologiche: da rimettere in sesto non ci sono solo le infrastrutture, ma anche la fiducia verso il governo centrale della sfibrata comunità sunnita. La partecipazione di combattenti sunniti e la quasi totale assenza delle milizie sciite, protagoniste a Baiji e Tikrit, aiuta a confortare la popolazione locale e a rafforzare la convinzione delle truppe regolari di poter riuscire anche senza il sostegno dei miliziani legati all’Iran. Ieri i soldati festeggiavano come a Tikrit non avevano fatto: balli, canti, spari in aria, bandiere irachene ad ogni angolo.

Consapevoli che la strada è ancora lunga: c’è da prepararsi per la ripresa di Mosul, principale obiettivo di un paese ancora occupato. Lunedì al-Abadi ha voluto mostrare pieno ottimismo: «I combattenti iracheni hanno sconfitto l’Isis e continueranno nella missione di liberazione di tutte le città irachene. L’Isis è stato sconfitto e centinaia dei suoi terroristi criminali sono stati uccisi. Il 2016 sarà l’anno della vittoria finale e della fine della presenza dello Stato Islamico in Iraq. Stiamo andando a liberare Mosul e sarà il colpo fatale per Daesh».

Un ottimismo in parte condiviso dagli Stati uniti, che ieri annunciavano l’uccisione lo scorso 24 dicembre in un raid aereo in Siria di Charaffe al Mouadan, presunta mente degli attacchi di Parigi: ieri il segretario alla Difesa Ashton Carter si è congratulato con le truppe irachene, in passato vituperate per le fughe di massa dai campi di battaglia e l’abbandono di armi e veicoli militari in mano agli islamisti.

C’è ancora da fare ma Mosul è più vicina: «Se Ramadi ha richiesto molto tempo – ha commentato l’ex generale Allen, inviato speciale Usa per la coalizione fino ad ottobre – penso che gli iracheni ne escano con una sicurezza maggiore sulle proprie capacità e con il morale sollevato».

Ma Mosul è preda invitante non solo per Baghdad. A puntare sul più importante centro economico del paese è anche la vicina Turchia. Dopo aver dispiegato le truppe all’inizio di dicembre nella base militare peshmerga di Bashiqa a 20 km da Mosul, Ankara ha tirato la corda irachena per giorni per poi ritirare soltanto un piccolo convoglio. Ieri il premier turco Davutoglu è tornato sulla questione, mai risolta nonostante le accese proteste irachene in sede Onu e alla Lega Araba: resteremo nella zona, ha detto il primo ministro, fino a quando Mosul non sarà liberata perché Baghdad non è in grado di garantire la sicurezza.

«Stiamo fornendo addestramento e equipaggiamento sia ai peshmerga che ai volontari da Mosul – ha detto– Continueremo con il sostegno fino a quando la città non sarà libera». Ma le ragioni sono altre: permettere la partecipazione del Kurdistan iracheno alla controffensiva così da rafforzare il potere contrattuale dell’alleato, il presidente Barzani, e radicare l’allargamento dei confini kurdi oltre quelli ufficiali.

Baghdad, allora, prova a giocare d’anticipo per togliere Erbil dalla morsa di Ankara: ieri il ministro delle Finanze iracheno Zebari ha detto che l’esercito governativo avrà bisogno dei peshmerga a Mosul e ha aperto alla collaborazione militare.