Brodeck arriva nel centro del suo villaggio per cercare del burro e trova tutti gli altri uomini dentro la locanda. È notte, non vola una mosca, tutti sudano nervosi, silenziosissimi, come se il rumore più lieve bastasse ad attirare l’attenzione, suonando come una denuncia. Hanno appena ucciso l’Anderer («l’Altro»), l’artista, lo straniero arrivato da lontano poco dopo la fine della guerra. La comunità sente su di sé il peso della colpa e chiede a Brodeck di scrivere un resoconto che riporti come sono andate le cose e li scagioni. Anche lui è uno straniero, per questo a suo tempo era stato deportato in un campo di concentramento e ora non è stato coinvolto nell’omicidio. È innocente, credibile. Brodeck accetta, non ha scelta di fronte ai toni minacciosi dei compaesani, ma decide di scrivere di nascosto una seconda relazione che conterrà la sua versione dei fatti, uno scritto in cui alla fredda cronaca si aggiungeranno le sue paure, le sue scoperte, la sua storia.

Il testo di questo rapporto nascosto costituisce il romanzo di Philippe Claudel che, partendo dal principio secondo cui l’umanità vive una tentazione genocidaria, ha voluto raccontare questo istinto in forma di parabola (Il rapporto, Ponte delle Grazie). Manu Larcenet l’ha adattato a fumetti in due volumi, riproposti da Coconino in versione integrale con il titolo originale (Il rapporto di Brodeck), e racconta di essere stato attratto da tre elementi narrativi: la descrizione della vita di un villaggio alpino, inteso come spazio chiuso in cui è riassunto il mondo intero; la questione del linguaggio, ovvero del rapporto tra storia ufficiale, verità e interpretazioni, una problematica su cui aveva già basato diverse sue opere; e infine la figura dell’Anderer, la vittima sacrificale.

Già in Blast, il suo lavoro più ambizioso, Larcenet aveva messo in scena un protagonista criminale, obeso, messo ai margini; qui, invece, la posta in gioco cambia: l’altro rifiutato dalla società è un artista. I suoi modi gentili e le sue strane abitudini mostrano che un comportamento diverso è possibile, ma quest’alternativa offende la durezza dei paesani; l’Anderer per sua natura li mortifica, ricordando loro l’orrore di cui sono (stati) capaci. Finché un giorno, per ringraziare il paese di averlo accolto, mette in mostra i ritratti che ha dipinto: non avrebbe potuto concepire un affronto più grande. Wilde scriveva che il segreto dell’arte è la «simpatia immaginativa», la capacità di comprendere l’altro e raccontarlo. Che cosa accade però quando qualcuno non vuole essere immaginato? Sulle tele dell’Anderer si trova l’indicibile, ciò che non deve essere pronunciato o visto: questo è il suo crimine, e non può essere perdonato.

L’omicidio si aggiungerà alla lista delle loro colpe, e gli abitanti vi faranno riferimento solo attraverso perifrasi: nelle intenzioni del villaggio, le parole devono negare la complessità del reale, fornire una giustificazione all’ingiustizia, reinventare la storia per assicurare la tranquillità. Larcenet interviene pochissimo sulla struttura del romanzo, e di quello che cita non cambia una parola. Che cosa poi aggiunga il disegno è parte del racconto: l’Anderer è un pittore, ed è proprio attraverso la sua arte che svela ciò che è tenuto nascosto. Il tratto, che qui evita la caricatura tipica di altri lavori dell’autore, può arrivare dove le parole mentono. L’albo di Larcenet, debitore di Caniff e Baudoin, ispirato dalla prosa di Céline, è in un bianco e nero cupo e duro, diretto, tagliente, perfetto.

Il vero virtuosismo è però nella messa in pagina: lo schema cambia continuamente, l’occhio viaggia, indugia, ma sempre accompagnato da una cadenza precisa. Il ritmo è palpabile, ma il tono resta contemplativo, rallentato dal formato all’italiana (orizzontale) in cui il libro è stampato. Larcenet conserva quanto è più essenziale del racconto, e poi lascia al disegno tutto il resto, spesso con vignette mute: se tradurre l’esperienza in prosa razionalizza e rassicura, il disegno sospende, ancor più quando è accompagnato da tutto ciò che è fuori dal campo dell’inquadratura e dallo spazio bianco che contorna ogni vignetta. L’immagine riesce così a dare scansione plastica al tempo dell’attesa e della minaccia, rende tangibile quello che nel libro rimanda a Poe, Kafka e Buzzati, Breccia e Deprez, moltiplicandone l’inquietudine.

Di fronte a questo sentimento di violenza e timore, un sussulto di dignità è rappresentato dal gesto di responsabilità della testimonianza di Brodeck. Alla fine della sua unica conversazione con l’Anderer, questi gli aveva parlato con le parole di Primo Levi: «raccontare è una medicina sicura». Chiunque si affacci su di sé e il proprio mondo deve affrontare l’abisso di un cratere (altra parola chiave del libro): nel farlo con coraggio e intraprendenza sta il riscatto dell’uomo che si oppone alla vita refrattaria della propria comunità, e la speranza che anche dal passato più disastrato possa nascere un futuro onesto.