In serata, dopo l’incontro «bilaterale» col presidente del consiglio Giuseppe Conte, dalla delegazione del Movimento 5 Stelle hanno parlato di «clima positivo». In effetti è difficile che si rompa davvero su questioni non decisive, di contorno, che non dovrebbero toccare i grandi numeri di questa manovra di bilancio. Ma la posta in palio della tensione di queste ore, frutto dei riposizionamenti di queste settimane e di sensazioni accumulatesi nel corso del frenetico cambio di maggioranza, riguarda il proseguimento della legislatura. Non ha che fare con il «se», piuttosto interroga il «come» si andrà avanti.

Il tema sta sullo sfondo e si trascinerà nel futuro prossimo, non è tale da rompe il giocattolo in un giorno ma allo stesso tempo non consente mosse risolutive nel breve periodo. Ha a che fare con la questione che è sempre stata decisiva nella storia del M5S e che si chiama polarizzazione. Qual è il nemico dei grillini, adesso? Se il pericolo pubblico numero uno si chiama Matteo Salvini, allora l’accordo col Pd, a prescindere dal risultato del voto umbro, è destinato a durare. Ma siccome Luigi Di Maio non vuole restare schiacciato dalla morsa dell’alleanza che si potrebbe stringere ancora di più dopo le parole di Beppe Grillo al raduno di Napoli dei 5 Stelle, allora il M5S è costretto per una volta ad uno schema non speculare. Almeno secondo i piani del suo «capo politico» deve differenziarsi dal resto della maggioranza e allo stesso tempo mettere in difficoltà Giuseppe Conte, che meno di due mesi fa Luigi Di Maio aveva descritto come «una perla rara» e che oggi è a rischio stillicidio.

Tutto ciò avviene mentre i gruppi parlamentari non hanno ancora una guida, dopo che al primo giro di votazioni di deputati e senatori i candidati alla presidenza graditi a Di Maio, per usare un eufemismo, non hanno sfondato. «Evidentemente abbiamo un Movimento 5 Stelle che è posseduto, non risponde al gruppo parlamentare, al direttivo, al suo fondatore, ci vuole solo un esorcismo», avrebbe scritto il presidente della commissione cultura alla camera Luigi Gallo in una chat interna finita in mano all’agenzia di stampa AdnKronos. Anche uno come Francesco Silvestri, che concorre con Raffaele Trano per il posto di capogruppo a Montecitorio e che dei due è considerato il meno ostile al «capo politico» Di Maio, avrebbe scritto parole che si ricollegano alla richiesta dei parlamentari di contare di più: «Devono esserci dei momenti in cui si confronti sulle posizioni, sulle tematiche di attualità e di aula e dia indirizzo a social e comunicazione.

Quando un gruppo numeroso di deputati che si è prima confrontato arriva a dare indirizzi chiari, contratti o non contratti, magari le cose migliorano».
Gli eletti grillini smentiscono, dicono che si tratta di parole e ragionamenti estrapolati dal contesto di una discussione più ampia. Ma se davvero partisse la tattica del logoramento grillino al governo di Giuseppe Conte, per di più in virtù di un’anomala eterogenesi dei fini di concerto con Italia Viva di Matteo Renzi, cosa accadrebbe tra gli eletti?