C’[/ACM_2]è una certa abilità nel dire non-dire che ha sempre contraddistinto la politica estera del presidente Obama. Ieri il capo di Stato americano non si è smentito. In un discorso, che secondo la Casa Bianca è il primo di una serie di interventi pubblici nei quali il presidente renderà chiaro il futuro prossimo della politica statunitense verso il mondo dei prossimi mesi, ha messo a fuoco una fetta di pianeta non da poco: Medio Oriente e Africa.

Non ha parlato di Ucraina, ma il giorno prima aveva approvato il «processo di riunificazione» (a cannonate) del neopresidente Poroshenko. Quanto all’Afghanistan, appena qualche ora prima aveva fatto il punto sulla permanenza americana nelle valli dell’Hindukush: i soldati diminuiranno ma 10mila resteranno a presidiare il campo. Almeno sino al 2016. C’è un po’ di tutto e un po’ di nulla nel discorso di West Point, vista l’attesa su un intervento che avrebbe dovuto dire dove va l’America. Ma il piatto forte – l’Asia, la Cina – deve aspettare. C’è stata anche una contestazione di attivisti di KnowDrones, che chiedono una legge contro i droni, contestando l’uso su larga scala che Obama ne fa. Ma a parte queste note di cronaca, del discorso si potrebbe dire, come si usa in gergo, che «non c’è notizia» se non fosse che una notizia, tutto sommato di poco conto, c’è.

La notizia è che la guerra al terrorismo non è ancora finita ma si combatte con altri mezzi e che sul piatto Obama mette 5 miliardi di dollari per un «Partenrniship Terrorism Fund» per dare una mano a quei Paesi che lottano contro gli estremisti (a occhio, tutti islamici). «Ho chiesto al Congresso – ha detto Obama nel suo discorso alla famosa accademia militare fondata ai tempi di George Washington – un fondo di 5 miliardi per sostenere una nuova partnership anti terrorista che possa consentirci di fare formazione e aumentare le capacità di quei Paesi che sono sulla linea del fronte».

Quali? Yemen, Somalia, Libia (in accordo con la Ue), Mali (aiutando la Francia) e forse anche la Nigeria, non menzionata pur se Washington ha inviato 80 soldati in Ciad in sostegno alla ricerca delle studentesse sequestrate da Boko Haram. Con l’Africa dunque ci siamo. E il Medio Oriente? Il conflitto israelo-palestinese non viene menzionato (e forse questa è anche una nota positiva visto che poteva finire in un calderone anti terrorista che sarebbe piaciuto all’attuale leadership della Stato ebraico) ma sulla Siria il presidente resta vago: non si addentra in spiegazioni geopolitiche che potrebbero innescare polemiche (Iran, Golfo, Arabia saudita) ma si limita a dire che l’America promette un sostegno importante a chi combatte il regime di Assad.

La stampa americana ha parlato di «addestramento ai ribelli». Qui dunque il «terrorismo», anche islamico, viene sostenuto o si rischia di sostenerlo, com’è già accaduto. Anche in Libia, dove le spese le ha fatte l’11 settembre 2012 l’ambasciatore Usa Chris Stevens, ucciso da jihadisti fin lì coordinati dall’intelligence americana che li aveva usati per abbattere Gheddafi. Fatto che ora è la spina nel fianco usata dai repubblicani contro Obama e la «candidata» alle presidenziali Hillary Clinton.

L’aspetto interessante di questo primo discorso sulla politica estera del presidente è che l’accento è tutto sulla diplomazia, preferita all’uso della forza militare. Ma è una virata già vista e spesso disattesa che lascia molte domande aperte. A una il presidente ha già risposto l’altro ieri al suo ritorno dalla base area di Bagram, a due passi da Kabul. Dopo la visita lampo ai soldati americani, Obama ha detto la sua (dopo una conversazione telefonica con Karzai) sulla «più lunga guerra» degli Stati Uniti per la quale il presidente vuole «fine responsabile»: spostando intanto al 2016 il ritiro delle truppe.

O meglio, 22mila militari torneranno a casa entro la fine del 2014, gli altri entro il 2016. Ha spiegato che «quando sono diventato presidente avevamo circa 180mila soldati, per la fine dell’anno ne avremo meno di diecimila». 9.800 per la precisione, un numero che sembra studiato come certi prezzi del supermercato per avere una cifra con meno zeri. Convinto che tra Kabul e Washington si firmerà il patto di sicurezza bilaterale (Bsa, tenuto in stand-by da Karzai), Obama prevede che alla fine del 2015 i diecimila si dimezzeranno per arrivare alla fine del 2015 «a quel che è una normale componente di sicurezza d’ambasciata come quella che abbiamo in Iraq». Solo qualche mese fa Obama aveva però minacciato per l’Afghanistan un’opzione zero se il Bsa non fosse stato firmato.

Ora invece dice: resteremo. Quanto ai numeri, tutto il tira e molla di questi ultimi tempi fa pensare che siano ancora tutti da definire.