Era accaduto lo stesso a metà agosto, quando furono liberati i primi 26 dei 104 prigionieri politici palestinesi che Israele si è impegnato a scarcerare nel quadro delle intese che, a luglio, hanno portato alla ripresa del negoziato bilaterale con l’Anp di Abu Mazen. E si è ripetuto ieri. Mentre, accolto dai festeggiamenti e dalla gioia di migliaia di palestinesi, il secondo gruppo di 26 detenuti rimessi in libertà rientrava nei Territori occupati  – 21 in Cisgiordania e cinque a Gaza – i media israeliani confermavano la notizia che girava da alcuni giorni. Il premier Netanyahu ha autorizzato la costruzione di altri 1500 alloggi nell’insediamento colonico di Ramat Shlomo, nel settore arabo di Gerusalemme occupato da Israele 46 anni fa. Un’espansione ulteriore della colonizzazione israeliana dei Territori palestinesi che dall’inizio del 2013 corre come mai era accaduto in passato.

Altri 1500 appartamenti per “rabbonire” la parte estrema del governo di destra (con qualche spruzzo di centro) che ha contestato il rilascio dei detenuti. Un passo che, incredibilmente, ha provocato polemiche negli ambienti ultranazionalisti. Il partito Habayit HaYehudi, l’espressione più compiuta in politica del movimento dei coloni, è stato accusato di aver “ceduto” sulla questione della “liberazione dei terroristi” in cambio dell’assicurazione avuta dal premier che sarebbero stati autorizzati nuovi progetti edilizi israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Ma sono polemiche che lasciano il tempo che trovano. Ciò che conta è che continua senza sosta la confisca di terre palestinesi per far spazio all’espansione delle colonie. Oltre ai 1500 alloggi a Ramat Shlomo, il piano approvato da Netanyahu prevede altri progetti: la creazione di un “Parco Nazionale” sui pendii del Monte degli Ulivi, a stretto ridosso dei quartieri palestinesi di Isawiyah e A-Tur a cui sarà bloccata la possibilità di espandersi. Appena qualche settimana fa il ministro per la protezione ambientale Amir Peretz aveva congelato questo piano in modo da esaminarne ulteriormente “le implicazioni internazionali”. Il premier ha tagliato corto incurante delle reazioni. E’ stato riavviato anche il riesame del progetto che dovrebbe portare alla creazione del ‘Centro Kedem’ nel quartiere palestinese di Silwan, a ridosso della città vecchia  di Gerusalemme, da lungo tempo al centro delle attività del movimento dei coloni israeliani.

Le reazioni internazionali a questa massiccia campagna di colonizzazione rimangono inconsistenti: Usa e Ue chiudono gli occhi. E la stessa Anp non riesce ad andare oltre le rituali affermazioni del suo portavoce Nabil Abu Rudeina: «Israele con la sua politica distrugge il processo di pace». Non tutti però restano in silenzio. «Gli insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono stati istituiti in chiara violazione del diritto internazionale», ha denunciato il professore Richard Falk, relatore speciale dell’Onu per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati, presentando il suo ultimo rapporto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Non è la prima volta che Falk fa sentire la sua voce. Stavolta però ha anche puntato l’indice contro il gruppo bancario europeo Dexia e la holding immobiliare Usa Re/Max, avvertendo che le due aziende «possono essere ritenute penalmente responsabili per il coinvolgimento negli insediamenti illegali». Dexia, ha spiegato Falk, ha fatto da tramite per trasferire finanziamenti destinati alla costruzione di edifici per coloni, mentre la divisione israeliana di Re/Max pubblicizza e cura la vendite di queste costruzioni. «Incoraggio vivamente le aziende a basare i loro affari sui principi alla base della Carta Onu – ha ammonito – e di usare il necessario discernimento per non divenire complici di violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale».  Qualche giorno fa, riferiva il quotidiano El Pais, invece è stata l’Anp a protestare in particolare contro gli investimenti spagnoli nelle colonie israeliane, nel quadro della campagna rivolta a una cinquantina di Paesi affinché prendano provvedimenti punitivi contro le imprese che, nonostante i divieti previsti da una recente direttiva europea, continuano ad avere rapporti commerciali e a investire negli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. L’Anp ha puntato l’indice contro la società spagnola NaanDanJain, specializzata nella fabbricazione di sistemi di irrigazione e dipendente dalla casa madre israeliana, nel kibbutz Naan, che fornisce servizi e prodotti ai coloni nella Valle del Giordano, sul Monte Hebron e sulle alture del Golan. Sino ad oggi sono state individuate 504 imprese straniere che cooperano con le colonie israeliane, fra le quali la tedesca Siemens e la francese Veolia.