Randagio rispetto al mainstream del materialismo storico, Ernst Bloch riabilita il futuro, liberandone il potenziale sovversivo impigliato nella meccanica dei rapporti di potere. Nel suo pensiero rimane poco dell’incedere, predeterminato e scandito, della legge economica, nulla del materialismo dialettico ufficiale, della sua bronzea necessità e del suo accumulo dottrinale; nello spazio lasciato libero da pretese dogmatiche e pedisseque rimasticature di nozioni da sussidiario, entra di gran carriera l’elemento trasformativo, prometeico, persino faustiano, il pathos insieme biblico ed espressionista, la solarità del sogno a occhi aperti, la geografia remota, e tuttavia possibile e concretissima, della terra incognita, che sia Eden, Eldorado, nuova Atlantide o, più in piccolo, città ideale.

Nelle opere principali di Bloch, Spirito dell’utopia e Il principio speranza, corre come un filo ininterrotto l’elemento utopico, prima in una dimensione interiore, spirituale, persino emozionale e, dopo la metà degli anni Trenta, accordato alla cadenza del marxismo teorico benché sempre in chiave eterodossa. Ma, pur nel mutare degli accenti, la prefigurazione del non-ancora, la latenza di ciò che è possibile sono tracce continue, presenti non solo nella scrittura fluviale, quasi inarginabile delle opere più note ma anche nelle forme più brevi, aforistiche o paraboliche, e nei generi minori. A questa invarianza concorre lo stile compositivo di Bloch, fatto di riprese testuali, scomposizioni, rilanci di citazioni, di estratti, di appunti che, di volta in volta, si allargano verso scritture più compiute ma dove torna il medesimo repertorio di concetti.

Gli assi portanti del suo pensiero, alieni alla pretesa sistematica del trattato e in una veste più colloquiale, diretta, a volte persino didascalica, tornano nelle Conversazioni (1964-1975), raccolte a metà degli anni Settanta da Rainer Traub e Harald Wieser, poi ripubblicate a un anno dalla morte del filosofo e ora proposte da Mimesis in Speranza e utopia (traduzione di Eliano Zigiotto, anche autore di uno dei due acuti saggi, l’altro è di Laura Boella, pp. 136, € 16,00).

Appartenenti all’ultimo decennio di vita, i colloqui di Bloch incrociano critici letterari, politologi, giornalisti e vecchi amici come György Lukács e Theodor Adorno: quasi un breviario, un tesoretto o una piccola guida a tutti i temi delle opere maggiori ma con l’agilità dello scambio faccia a faccia che conserva tracce dell’oralità in esitazioni, incisi, intercalari, andamenti paratattici. Non prive di un gradiente emotivo, le conversazioni di Bloch sono anche testimonianze di uno scambio filosofico favorito da amicizie un tempo intense e poi interrotte, per esempio con Lukács, o ostacolato da vie del pensiero distanti che si congiungono in confronti serrati ma sempre rispettosi, come accade con Adorno. Vera colonna sonora delle conversazioni è il concetto di utopia, risvoltato e modulato in molteplici variazioni, ma di cui Bloch asserisce senza posa il carattere concreto e possibile.
Mai fantasticheria o vuota chimera – sarebbe altrimenti un castello in aria, una nave dei folli o una stravaganza da malastampa – l’utopia emerge, dalle conversazioni, come promessa di futuro, dotta speranza e, a partire dall’incompiutezza del presente, punto di fuga verso un possibile esito positivo. È infatti la possibilità, «cenerentola della logica», che viene riportata in onore e presentata come eccedenza rispetto all’esistente, squarcio su ciò che ancora non è venuto, vero innesco del pensiero utopico.

Oltre al progetto politico di Platone e al socialismo utopistico di Saint-Simon, Fourier e Owen, le conversazioni di Bloch accostano, sulla stessa linea della possibilità e del tempo gravido di futuro, Apollonio di Tiana, Gesù, il Rinascimento, lo Sturm und Drang, Delacroix, Tolstoj, Dostoevskij e i grandi mistici russi. In luce piena nelle pagine di Bloch è soprattutto il raccordo con la matrice del messianesimo ebraico, nella sua semantica di gestazioni, approssimazioni, anticipi e prospettive sulla pienezza dei tempi, in un campo di forze antinomiche che si dispiega dal profetismo biblico all’escatologia evangelica, dove comune a tutte le rappresentazioni del nuovo è «il crepuscolo che guarda avanti, che cova nella giovinezza, l’aria che circola nei tempi di svolta».