Il suo voto sarà decisivo per il futuro dell’azienda per cui lavora. Fra qualche giorno interrogherà i suoi «padroni», non escludendo di chiedere la loro rimozione. Giulia Lupo è una assistente di volo Alitalia eletta senatrice per il M5s. Prima di entrare in parlamento era delegata Usb, sindacato che continua a chiedere a gran voce la nazionalizzazione della nostra ex compagnia di bandiera.

Senatrice Lupo, ci racconta la sua storia di lavoratrice Alitalia?
Sono stata assunta nel 2009, prima lavoravo in AirOne. Sono assistente di volo con base su Linate per il medio raggio e Fiumicino anche lungo raggio. L’ultimo volo l’ho fatto a febbraio, poi ho preso le ferie per fare la campagna elettorale, mentre aspetto ancora gli stipendi da cassa integrata dell’estate scorsa. Ho vissuto tutte le ristrutturazioni, diventando delegata Usb. Abbiamo vinto il referendum sul No al piano Etihad quando Cramer Ball, l’ultimo dei 7 amministratori delegati cambiati in 10 anni, fu salvato dal linciaggio mentre si aggirava per i terminal scusandosi con i turisti e ci dava degli infantili e viziati perché scioperavamo. Poi ho deciso di candidarmi.

Ora è in commissione speciale al Senato dove da ieri state esaminando il decreto Calenda di proroga a dicembre del prestito ponte da 900 milioni e di posticipo della decisione sulla vendita. Voi del M5s avete 9 commissari su 27 e il relatore, Mario Turco. Senza il vostro voto il decreto non viene di certo convertito.
Non approvarlo sarebbe irresponsabile perché produrrebbe il fallimento dell’azienda. Il nostro obiettivo è dare valore a questa proroga usando il tempo a disposizione per ottenere trasparenza puntando sul rilancio: il settore aereo è mediamente in crescita del 7-8 per cento mentre Alitalia arranca. Noi vogliamo che cresca allo stesso ritmo perché ne ha tutte le potenzialità: il mercato italiano è il terzo in Europa e il sesto nel mondo – anche se Enac non vigila su RyanAir sul co-marketing e i soldi pubblici – un costo del lavoro fra i più bassi e una produttività fra le più alte.

Lei ha proposto di ascoltare i tre commissari straordinari Laghi, Paleari e Gubitosi. Cosa chiederà ai suoi attuali datori di lavoro?
Sappiamo molto poco sulla condotta dei commissari. Se è vero che ancora non è pubblico il bilancio 2016, i commissari parlano già di extra costi per l’aumento del prezzo del petrolio. Ma quando il petrolio calava non ci sono stati risparmi. Cosa hanno fatto sui contratti derivati delle banche? Sugli accordi capestro che favoriscono AirFrance? Faremo tutte queste domande.

Se le risposte fossero non soddisfacenti siete pronti a chiederne la rimozione?
Se dovessimo riscontrare responsabilità dirette, certamente valuteremo la loro sostituzione. Dobbiamo tutelare i lavoratori e i contribuenti, visto che i 900 milioni di prestito sono soldi pubblici.

Finora hanno sempre riferito al solo ministro Calenda che li ha nominati…
Il ministro ha tanto da fare, forse è meglio che riferiscano al parlamento. Penso che proporremo loro audizioni ogni 45 giorni, proprio per garantire trasparenza e controllo.

Passiamo al capitolo vendita. Finora entrambe le offerte – Lufthansa e la cordata guidata da EasyJet – mettono come precondizione una ristrutturazione fatta dal governo stesso con migliaia di esuberi.
È inaccettabile parlare di «migliaia di esuberi» come fossero caramelle, dietro ci sono famiglie intere. Veniamo da 10 anni di ristrutturazioni che hanno solamente peggiorato la situazione e i conti dell’azienda. Non si può vendere Alitalia a chi dice di ridurre voli e personale, per rilanciare bisogna investire. Il nostro modello deve essere Klm che si è rilanciata potenziando il lungo raggio e i voli no stop smettendola di portare passeggeri negli scali internazionali per le altre compagnie.

Il suo sindacato – l’Usb – è per la nazionalizzazione. Lei?
Non è certo un tabù per noi. Col prestito ponte siamo già ad una semi-nazionalizzazione, anche se dobbiamo attendere l’indagine Ue sull’aiuto di stato. Moltissime compagnie europee sono compartecipate dallo stato e Alitalia in pratica è l’ultimo asset industriale del paese che non è in mani straniere.