Chi abbia qualche pur vaga nozione di antropologia sa che qualsiasi rito del cordoglio e del lutto è in primo luogo un rito di passaggio. La sua duplice funzione è trascendere l’angoscia della morte e accompagnare il defunto nel viaggio dallo status di cadavere a quello di antenato, in quanto tale reintegrato nel mondo storico e simbolico dei superstiti. È anzitutto il diritto universale al cordoglio e al lutto che è stato violato con la «farsa di Stato» (la definizione è del sindaco di Agrigento), con la «passerella beffarda» (così don Mosè Zerai) del 21 ottobre ad Agrigento, nonché il principio, elementarmente umano, del rispetto dovuto ai morti e ai superstiti: in tal caso, ai sopravvissuti in senso proprio ma anche ai familiari e ai connazionali delle vittime del proibizionismo. I primi, già segregati in sordidi centri di «accoglienza» o smistamento e incriminati per immigrazione clandestina, sono stati esclusi dalla cerimonia ufficiale; gli altri, offesi non solo dal rifiuto di restituire loro le salme dei congiunti, ma soprattutto dalla presenza dei rappresentanti di quel feroce regime dittatoriale che li perseguita, costringendo i loro cari alla fuga.

Per protestare contro questa offesa, contro la dittatura di Isayas Afeworki, le angherie e i taglieggiamenti imposti ai cittadini della diaspora con la complicità del governo italiano, gli eritrei del Coordinamento Eritrea Democratica venerdì prossimo saranno davanti a Montecitorio dalle 10 per un sit-in. Non è solo per solidarietà che ci sarebbe doveroso partecipare. E non soltanto perché essi avanzano rivendicazioni che condividiamo: corridoi umanitari per il diritto di asilo europeo, modifica radicale della Bossi-Fini, una legge organica sull’asilo, la facoltà di raggiungere i familiari residenti in altri paesi europei. V’è un’altra ragione che ci coinvolge ancor più direttamente: il comportamento del «nostro» ministro dell’Interno, il quale, come riferisce Fabrizio Gatti, si è addirittura vantato di aver ricevuto i complimenti dell’ambasciatore eritreo. E ciò dopo aver autorizzato, secondo lo stesso Gatti, i servizi segreti dell’ambasciata eritrea a fotografare gli oppositori e i familiari delle vittime nel corso della cerimonia. Non contento, il giorno dopo in una trasmissione radio, dopo aver giurato amore e fedeltà al suo Capo, «perseguitato dalla Magistratura», Alfano ha schiumato rabbia verso i contestatori – «i cosiddetti attivisti»- e disprezzo verso i rifugiati, chiamati sempre «costoro», riaffermando la linea repressiva e sicuritaria, l’immancabile «prima gli italiani» e la retorica dei «mercanti di morte».

A tal proposito, anche a sinistra sarebbe opportuno chiarirsi le idee. Anzitutto: qualsiasi sistema proibizionista produce attività e reti per il commercio clandestino del bene di cui è interdetta la libera circolazione (che si tratti di alcol, droghe o esseri umani). Ma l’esistenza di filiere criminali non è la causa delle stragi di migranti e rifugiati, bensì epifenomeno del proibizionismo stesso: sono le norme e le politiche europee sull’immigrazione e l’asilo, con i loro dispositivi politici e militari, a provocare le stragi di migranti e rifugiati. Sono esse che hanno favorito la nascita di una vasta economia transfrontaliera sotterranea, costituita da filiere ampie o ristrette, ben strutturate oppure così spontanee da non andare al di là della famiglia o del quartiere. In Tunisia, per esempio, è spesso al livello delle relazioni di prossimità che si organizzano i viaggi «clandestini» verso l’Italia. Non sempre, dunque, c’è bisogno di cercare un Big Boss per comprendere come partano gli harraga.
Perciò non sarà «Mare Nostrum» a fermare i «mercanti di morte», ché anzi questa operazione detta militare e umanitaria potrebbe provocare l’aumento dei costi dei viaggi illegali, la scelta di rotte ancor più pericolose, quindi la moltiplicazione delle vittime. La tanto sbandierata operazione – definita con un ossimoro che promette tragedie e un nome che, come ha scritto Wu Ming 2, sa di rimosso coloniale – si risolverà in un rafforzamento del controllo delle frontiere.

Quanto al «soccorso umanitario», è probabile consisterà nel riportare indietro migranti e rifugiati, magari nell’inferno libico da cui sono fuggiti. Per scongiurare tutto questo, v’è un’unica soluzione: quella dei corridoi umanitari, lanciata da Melting Pot con l’appoggio di numerose personalità e associazioni, riproposta e articolata in dettaglio in una conferenza-stampa dal senatore Manconi e dalla sindaca di Lampedusa, Nicolini. Per rendere possibili viaggi incruenti e legali verso l’Europa non v’è altra strada: permettere ai migranti e ai potenziali rifugiati di richiedere un visto temporaneo e la protezione umanitaria nei paesi di partenza o di passaggio, attraverso presidi internazionali dell’Unione europea e degli Stati membri.