«Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani»: questa la celebre dichiarazione da sempre attribuita a Massimo D’Azeglio, volta a sottolineare come l’Italia, per quanto unita geograficamente e politicamente nel 1861, risultasse costituita da culture, tradizioni e dialetti così diversi tra loro da non permettere a nessun individuo di sentirsi italiano, cioè membro di un’unica nazione. Quando nasca, quale sia e come si sia svilppata l’identità della Nazione italiana è la domanda a cui sembra voler fornire una risposta Luca Massimo Barbero con la mostra da lui curata Nascita di una Nazione Tra Guttuso, Fontana e Schifano, in corso fino al 22 luglio a Firenze, a Palazzo Strozzi.
Le ottanta opere esposte offrono uno spaccato di quella che è stata l’arte, la cultura e la società tra l’inizio degli anni cinquanta e il ’68 (anno il cui cinquantenario viene celebrato dalla mostra), ripercorrendo la nascita del senso di Nazione attraverso le pratiche dei più rilevanti artisti italiani dell’epoca e offrendo una chiave di lettura a un periodo artistico che si è intrecciato indissolubilmente con lo sviluppo dell’Italia.
La mostra, suddivisa in otto sezioni, presenta un allestimento molto scenografico, quasi teatrale, che punta a coinvolgere il pubblico anche con la presenza di interessanti videoproiezioni. È il caso, soprattutto, della prima sezione, Il Dopoguerra come nuovo Risorgimento: un ambiente immersivo costituito da quattro videoproiezioni correlate in sincrono che ricostruiscono cronologicamente una breve storia visiva d’Italia dall’Unità al 1968, tra arte, cinema, moda, cronaca, politica e società. Le proiezioni permettono al visitatore di calarsi e comprendere quel ventennio, ma sembrano anche «schiacciare» visivamente sui due lati La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio (1951-’55) di Renato Guttuso, sospesa sulla parete di fondo, forse per sottendere come il realismo «propagandista» incarnato dall’artista fosse ormai «schiacciato» dal sorgere e dall’imporsi delle nuove avanguardie, tra cui l’astrazione antirealista de Il comizio (1950) di Giulio Turcato presente nella sala successiva accanto a opere di Enrico Baj e Mimmo Rotella.
La seconda sezione, Scontro di situazioni, approfondisce invece le differenti ricerche dell’astrazione italiana degli anni cinquanta, le quali scelgono la materia quale protagonista indiscussa e che sono portate a sviluppo da artisti come Burri e Vedova. A questo «scontro» tra realismo e astrazione informale segue la tabula rasa del Monocromo come libertà a cui è dedicata la terza sezione della mostra che include, oltre ai monocromi di Lucio Fontana, Pietro Consagra, Alberto Viani, Salvatore Scarpitta, Angelo Savelli, Giulio Turcato, Agostino Bonalumi e Paolo Scheggi, una importante serie di Achrome di Piero Manzoni e la monumentale Superficie bianca di Enrico Castellani.
Ma nella stessa prima metà degli anni sessanta, dall’azzeramento del monocromo nasce un’attenzione verso il Metafisico quotidiano: i nuovi simboli: gli artisti prendono ora ispirazione dalla realtà coeva per interpretarla e renderla altra da sé. È il caso, ad esempio, delle rose e dei segnali urbani stilizzati di Jannis Kounellis, della Coda di cetaceo (1966) di Pino Pascali, del Quadro da pranzo di Michelangelo Pistoletto, nonché dei dettagli di indumenti o di interni dipinti da Domenico Gnoli, al quale è dedicato un focus monografico.
Da questo interesse per la realtà trova presto sviluppo quella «scuola» romana che include tra gli altri Mario Ceroli, Cesare Tacchi e Giosetta Fioroni, considerata erroneamente filiazione della Pop Art statunitense e che è invece volta a rappresentare Figure e gesti (questo il titolo della quinta sezione della mostra) desunti dalla dimensione quotidiana, dall’universo mediatico e dalla nostra storia dell’arte.
Con l’avvicinarsi del 1968 si fa più forte l’interesse per Cronaca e politica, come sottolinea la sesta sezione dell’esposizione. Un interesse esemplificato dal ricorrere del motivo iconografico della bandiera rossa nel ciclo Compagni compagni di Mario Schifano, ma anche nelle bandiere e nei cortei dipinti da Franco Angeli, nonché negli specchi di Michelangelo Pistoletto e nella bandiera fatta di bandiere di Giulio Paolini.
Ma, parallelamente, non solo la realtà quotidiana e la cronaca divengono soggetto di immagine per gli artisti: è l’Italia stessa a divenire fonte di riflessione su cosa essa rappresenti come metafora anche rispetto al resto del mondo. È la settima sezione della mostra, Geografie possibili, a riflettere su questo tema attraverso importanti opere tra cui le Mappe di Alighiero Boetti e le Italia di Luciano Fabro.
Prima di giungere nell’ultima sala, Nascita di una nazione ci riserva una sorpresa: il tema del Progettare-partecipare tipico degli anni sessanta è affrontato con l’allestimento di Eco di Alberto Biasi. Realizzata nel 1974 in occasione del primo decennale dalla dissoluzione del Gruppo N, l’installazione interattiva è costituita da pannelli fotosensibili che catturano l’ombra di chi vi si accosta.
La mostra si conclude con la sezione Immaginazione al potere, dove sono esposte, tra le altre, le opere degli artisti dell’Arte povera in cui viene a coincidere, tra il 1967 e il 1968, il concetto stesso di identità italiana. Tra i lavori qui presenti, spicca Rovesciare i propri occhi (1970) di Giuseppe Penone che è posto a conclusione del percorso rappresentando una nazione che alla fine degli anni sessanta guarda a se stessa e alla sua storia mentre è alle porte un periodo di forte polemica che, di lì a poco, volgerà in lotta armata.
Accompagna la mostra il catalogo a cura di Luca Massimo Barbero, edito da Marsilio (pp. 352, euro 40,00), che, assieme alle fotografie delle opere esposte, ci induce a riflettere ancor più in profondità su quel ventennio cruciale della storia d’Italia e della eventuale storia degli italiani.